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martedì 22 marzo 2016

Intervista a... Francesco Paolo Catanzaro

Francesco Paolo Catanzaro, palermitano residente nella città di Federico II, docente, poeta, scrittore e critico letterario. Si interessa di letteratura e arte e collabora con riviste del settore.

D- Ha partecipato a "Poeti per il sociale" con due poesie; la prima, "Migranti" , in cui gli uomini vengono assimilati ad uccelli, forzati a flussi migratori per potere avere un futuro, o descritti come cerbiatti, ma sempre all'ombra della modernità (computer, cellulari) e che poi forse non trovano ciò che sperano.
La seconda, "I pulisci-vetri agli incroci delle strade", che appare quasi la prosecuzione della prima, nella quale gli uomini/uccelli/cerbiatti trovano, all'arrivo, una vita che apparirebbe sacrificata e dura, condita anche del disprezzo della gente (nella fattispecie gli automobilisti, infastiditi dal tentativo di pulizia del parabrezza), ma che per loro rappresenta libertà dalla vera sofferenza, quella che li ha portati ad emigrare.
Tutto è relativo, dunque, in questa vita? Fanno bene questi migranti ad essere soddisfatti di ciò che trovano? Si devono accontentare?
R- Il problema non è in chi arriva in un altro paese, che vede sempre più ricco del proprio e che può offrire possibilità di riscatto umano meno irreale, ma in chi accoglie, in chi dovrebbe trasformarsi in nido,  ricordando sempre che, nel corso della storia tutti siamo stati emigranti e che  tutti abbiamo sognato di fuggire da una realtà mortificata dalle guerre, dalle ideologie irrazionali per essere accolti in terre lontane, dove alcuni hanno anche messo radici. La realtà potrebbe essere considerata relativa in virtù della poca disponibilità all’accoglienza di alcuni gruppi umani ed assoluta quando ci si ricorda dei veri valori umani e si entra nella logica dell’attuabilità, della fratellanza e della cum- passione che non è pietà ma compartecipazione alla sofferenza di chi è costretto a lasciare la propria terra per la guerra, la fame, la sete e l’intolleranza. I migranti devono sempre sognare di avere di più di  quello che hanno trovato. E’ loro diritto umano. Ma devono aiutare anche chi li accoglie  a creare le giuste condizioni nelle terre di arrivo per poter raggiungere assieme la felicitas comune, collaborando e mettendosi a disposizione, senza aspettare  elemosine o manne dal cielo.

D- Mi incuriosisce, più che il raffronto con gli uccelli, quello con i cerbiatti. Il cerbiatto, animale apparentemente indifeso, dagli occhi dolci e miti. Perché ha pensato a questi animali?
R- I cerbiatti rappresentano la libertà e l’innocenza che sono raggiunte anche a costo di arrampicarsi lungo i fianchi  scoscesi dei monti. Un’innocenza che però diventa saggezza quando si prova a superare gli ostacoli più pericolosi per raggiungere la vetta che fa guardare all’infinito. Una libertà che si deve ottenere non fuggendo solo ma arrivando e costruendo il proprio futuro con onestà e dignità.

D- Lei è anche un critico letterario: come si è trovato ad esserlo? La cosa le ha mai generato fastidi?
R- Il critico letterario è colui che riesce a vedere forse prima degli altri il talento in chi utilizza la parola. Praticando la poesia, la letteratura, amandola con quella passione che non si è mai spenta ma che arde quotidianamente, ci si ritrova a scoprire percorsi poetici, itinerari umani nelle espressioni liriche degli uomini e delle donne. I sentimenti che animano le parole, a volte si nascondono dietro esercitazioni stilistiche e non riescono ad essere comprese se non si svela il progetto umano che c’è dietro. Ecco il critico letterario riesce ad individuare ad esaltare e a valorizzare. Tutto ciò mi ha sempre gratificato e mi ha arricchito ogni volta che un romanzo, una silloge altrui passano attraverso le corde del mio cuore.

D-  Ha un'altra poesia che vorrebbe far conoscere al pubblico di "Poeti per il sociale" ? La scriva qui e la commenti.
R- Sì

Mendicante

Ti intrufoli fra le automobili
ferme al semaforo
ed il cielo dei tuoi occhi
si mescola ai colori delle strisce zebrate
dove scorrono i pedoni,
correndo,
in cerca del nulla.

Tendi la mano, tenera fanciulla,
tendi la mano con occhi struggenti.
Non so se questo è finzione o teatro
ma hai commosso il mio cuore
mentre dai finestrini arrivano pesanti commenti
e parolacce e rimproveri e maledizioni.

Vorrei portarti su, sull'arcobaleno
per cavalcare il mare e volare fra le nubi
e parlare d'amore, di gioia, di misericordia,
correre per i campi
e farti gustare il vero senso della vita,
inseguire il vento e mille aquiloni,
gioire ed ancora gioire della vita dolce e spensierata.

Ma da dietro un'automobile arrabbiata
strombazza ed avverte che il rosso è finito.
Si deve riprendere la corsa. O tutto è perduto.

La fanciulla sorride e riprende il marciapiede
aspettando un'altra occasione
di raccogliere i centesimi della sua emozione.
Sorride e saluta grata
per quella moneta che le è sembrata
offerta con discrezione
al suo sorriso oltre la disperazione.

Quante volte agli incroci delle strada in attesa del verde abbiamo visto tenere fanciulle, bambine domandare l’elemosina con tutto il dolore del mondo nei loro occhi di cielo. Quante volte l’ipocrisia, l’insensibilità ci prende e voltiamo la faccia. Eppure in questo mondo che continua a calpestare l’infanzia  e a  strumentalizzarla si può ancora sognare, abbiamo bisogno della libertà di sognare di strappare chi soffre alla realtà e a volare su un arcobaleno che sa di cielo. La lirica vuole offrire un omaggio a quelle bambine che soffrono agli incroci delle strade e oltre a soffrire sono mortificate dalla fretta degli automobilisti sfrenati.

D- Lei è anche un docente. Ho letto una nota nella quale si parla di un ragazzo che si alza durante la lezione, intona un ritornello e gli altri si alzano e rispondono in coro.
Non ho capito se le sia successo veramente, ma posso dirle che un'allieva di mio marito cantava a squarciagola durante la lezione e, in risposta ai rimproveri, rispondeva: "P'sso' , i' song' comm' 'a canaria: si nun canto, moro"! (Professo', io sono come la canaria: se non canto, muoio!).
La domanda è: i nostri ragazzi sono disturbati? Sono maleducati? Sono esibizionisti? Che sono? E noi che siamo, in relazione a loro?
R- I nostri ragazzi non saranno mai disturbati se noi adulti  riusciamo a creare le condizioni favorevoli al loro sviluppo psicofisico ed emotivo. I disturbi diventano risposta alle nostre farneticazioni, ai nostri comportamenti scorretti che, a volte, mortificano i veri valori della vita; l’amore, gli affetti, la famiglia tradizionale. Quando creiamo confusione nei nostri figli per soddisfare i nostri bisogni egoistici è normale ed è confermato dalle leggi della fisica,  che ad una reazione  ne segue una uguale e contraria. È da qui che scaturiscono i veri disturbi di alcuni ragazzi che vedono crollare le impalcature tradizionali per adattarsi a quelle artificiali. La maleducazione è una risposta da parte  chi è rimasto ferito dei comportamenti genitoriali sempre più meno autorevoli. L’esibizionismo è un grido psicologico che ci avverte della sofferenza dei nostri figli, che sperano di essere riaccettati da chi sta attorno a loro.
Pertanto lasciamoci la libertà di cantare, di poetare, di sognare perché, come ricorda l’allieva, chi è poeta se non lo fa muore ogni giorno.
Ed i nostri ragazzi, i nostri alunni a volte scordano di essere  poeti perché sempre più distratti da una tecnologia ormai fine a sé stessa.


Grazie per aver partecipato a "Poeti per il sociale"!


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Le poesie di Francesco Paolo Catanzaro per "Poeti per il sociale"

Francesco Paolo Catanzaro, poeta, scrittore, critico letterario, si interessa di letteratura ed arte e collabora con numerose riviste del settore.

MIGRANTI

Non ci sono più confini
quando le colombe sono preda delle aquile
e gli inermi passerotti
sono costretti a fuggire per svernare
definitivamente
per ritrovare la libertà di sognare
e di offrire un futuro alle nuove generazioni.
Vanno senza una mèta,
come nuvole si toccano e si disperdono,
hanno occhi di cerbiatto inseguito
dal latrato cupo dei famelici cani.
E sconvolgono le nazioni
popolano antichi deserti di fame
e pretendono una vita metropolitana.
Sono esodi contemporanei
all'ombra del computer e dell'iPhone,
sono flussi come reti internet
che galvanizzano byte
e trasmettono dati di disperazione.
Annaspano nell'acqua,
mare un tempo fonte battesimale
ora cimitero di naufragio
terra mobile dove la speranza tumulare.
Hanno barche
che hanno pagato con la propria pelle,
sono mandria da far pascolare
nelle onde verdi d'alghe e rosse di sangue,
E dopo essere arrivati,
dopo aver attraversato un paesaggio equoreo
è triste ritrovarsi nell'illusione
della propria condizione
e piangere i figli caduti
e straziarsi per i figli annegati
e morire con i figli morti
nello sforzo di una vita migliore
dove la guerra sia solo un ricordo lontano
ed i cuore s'acquieti
e riposi mano nella mano.

I PULISCI-VETRI AGLI INCROCI DELLE STRADE

Nella civiltà della megalopoli contemporanea
costruita per migliorare la qualità della vita
c'è ancora guerra oltre a quella linea immaginaria
che fa illudere e raccoglie la speranza infinita.
E ti ritrovi a vendere accendini colorati
o a lavare i vetri del parabrezza
per racimolare i frammenti scheggiati
e credere che siano
note di dolcezza a tanta amarezza.
Sei contento di questa vita
che sembra misera ma è soave vita,
lontano dalle pallottole dei cecchini
o dai soprusi politici degli assassini.
Non senti le parole pesanti
degli automobilisti dissacranti
sorridi e pulisci lo stesso i vetri del parabrezza
ringraziando il tuo Dio di questa fortunata carezza

Il semaforo verde è scattato.
Sciacqui il tuo strumento di lavoro logorato
e ripeti il gesto antico tante volte in giornata
che non ti accorgi di aver sofferto ma respirato
la libertà nella tua vita tanto amata.

Francesco Paolo Catanzaro

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