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sabato 18 giugno 2016

Sono Valeria Sirigu, la combattente!


 D.- Buonasera, dottoressa Sirigu; è stata molto gentile a prestarsi a questa intervista. Le voglio dire che lei mi ha colpito moltissimo, come è successo sicuramente a molte altre persone
Di lei mi ha colpito, più che la sua particolare situazione fisica, la capacità di risolvere i problemi e non lasciarsi abbattere dalle difficoltà.
Una prima domanda che le vorrei rivolgere, ovviamente, è relativa alla sua storia: la vorrebbe raccontare in breve?
R. Sono figlia di una madre nubile, e di questo ne vado fiera ed orgogliosa, mi ha cresciuto da sola! Non ha mai chiesto nemmeno un soldo a mio padre; ma non mi ha fatto mancare nulla, anzi… dalla mia vita ho avuto moltissimo per non dire troppo… Mi sento una donna molto fortunata, la mia disabilità è solo una parte di me.
La mia genitrice, per paura che avessi un quoziente intellettivo inferiore alla norma, fin da neonata mi ha talmente stimolato che dai primi test medici sono sempre risultata con un Q.I. superiore alla norma. Mi ha fatto provare ogni sorta di situazione e io amo proprio viaggiare grazie a lei. Viaggiare è una delle mie grandi passioni, oltre le lingue straniere, fare politica attiva, essere attivista per i diritti umani e civili, fare servizi fotografici, e stare sotto la pioggia e bagnarmi tutta e fare cose pericolose per sentire scariche adrenaliniche per poi rilassarmi.
Per mia fortuna mia madre non è mai stata iperprotettiva, mi ha lasciato sempre molto libera. Infatti a 19 anni, come molti giovani, me ne sono andata di casa per fare l’università. Ovviamente mia madre scendeva a Cagliari, ogni week-end, per vedere come stavo e se avevo bisogno di qualcosa.
Quando dico che mi occupo di diritto penale internazionale, di intelligence e tecniche militari, di criminologia particolarmente di parafilie (disturbi e devianze sessuali) e di economia e finanza internazionali; alcune persone rimangono di stucco sia perché credono che io abbia deficit intellettivi a causa della mia gravissima disabilità, sia per il motivo che sono una donna e in quanto “sesso debole” non mi possa occupare di questioni molto brutte e prettamente “maschili”. Molta gente presume che il mio comunicatore sia un gioco per imparare a scrivere e quando esprimono tale pensiero scoppio in una grossa risata in quanto fin dalla scuola materna ero, a detta delle insegnanti, più avanti degli altri alunni. 
Il fatto che io sia una giurista femminista atea disabile, spaventa molti, perché sono tutte qualità che normalmente una donna con disabilità non detiene; a volte mi tolgono consenso politico perché quello che sono mi fa uscire totalmente fuori dagli schemi, però io tiro dritto per la mia strada senza mai chinare la testa e sono abbastanza forte e spregiudicata per arrivare, passo dopo passo, dove spero io…!
In tutto questo mi dispiace che il mio caro nonno non ci sia, mi sarebbe tanto piaciuto averlo ancora accanto e sapere se fosse stato orgoglioso della sua prima nipotina.
Fino a qui vi ho raccontato i miei lati seri, però ho anch’io i miei lati frivoli… Pur essendo disabile mi sento molto DONNA e da tale amo acconciarmi! Mia madre da bambina mi ha abituato a vestirmi sempre da femminuccia ergo scarpettine, calzine velate, abitini eccetera. Quando sono entrata alla scuola media e superiore a mia madre le veniva da sorridere per il motivo che vedeva sempre tutte le mie compagne vestite tutte uguali con jeans e maglia larga tutti i giorni, io a scuola non andavo mai vestita sportiva, al massimo casual e mi piaceva andarci con un filo di trucco; sono e sarò una voce fuori dal coro! Anche ora mi piace un sacco truccarmi (odio uscire senza trucco), vestirmi in modo sexy ed elegante, adoro comprarmi abiti da cocktail e da sera con la coda oltre che cappellini.
Personalmente ritengo che i disabili “noti” debbano e hanno il dovere di lottare, per tutti gli altri, per sfatare miti e rimuovere le “barriere mentali” sulla disabilità.
Uso la mia immagine, di personaggio pubblico, in modo consapevole oltre che studiato per dimostrare che una donna può essere sexy pur essendo disabile.
Ogni tanto mi piace giocare, anche con gli sguardi, con gli uomini. Però se un uomo prova soltanto a sfiorarmi quando io non voglio reagisco all’istante! Se dovessi percepire il disagio o una richiesta d’aiuto di una donna di qualsiasi età, ceto sociale o nazionalità interverrei subito. Di fronte alla violenza sulle donne non bisogna mai girare la testa dall’altra parte, e se si ha paura per la propria incolumità… almeno che si chiamino le forze dell’ordine. Io denuncerei l’offender ai primi segnali di violenza che sia psicologica o fisica.  
Amo definirmi: “una donna dalle mille sfumature” perché mi sento una donna completa e ho mille aspetti… ma non sono, di certo, perfetta, però se sono così istruita, sicura, forte e coraggiosa lo devo solo a mia madre che io veramente amo più della mia stessa vita!

D.- Un’altra cosa che mi incuriosisce è la sua dichiarazione di ateismo; infatti sono convinta, come religiosa, che proprio la sua particolare situazione possa essere la lampante dimostrazione che noi non siamo un solo corpo, ma abbiamo un’anima che agisce a dispetto degli ostacoli imposti dalle difficoltà del corpo. Non è d’accordo con questa valutazione?
R.- Dipende da persona a persona. Io ho trovato la forza nell’ateismo più puro, infatti ho ottenuto la scomunica ufficiale (sono proprio fiera di questo) dalla Chiesa Cattolica a norma dei cc. 751 e 1364 del Codice di Diritto Canonico; altra gente prende tale forza dalla fede. Personalmente preferisco credere che io agisco in base alle mie convinzioni senza avere dogmi, Madre Natura ha dotato l’uomo della capacità di autodeterminazione e di discernimento, avrei fatto le stesse cose che faccio ora pur essendo “normale”, ergo alla Sua domanda mi sento di concordare con Lei.


D.- Nel suo sito, www.valeriasirigu.net, scrive che dopo la laurea in Giurisprudenza a indirizzo internazionale, vorrebbe lavorare come avvocato per il tribunale europeo dell’Aja, oppure all’ONU. Da cosa nasce questa aspirazione?  La sta portando avanti o ha deciso diversamente?
R.- La mia più grande ambizione rimarrà sempre quella, e nasce dall’età di 16 anni quando ho letto “Suad – Bruciata viva”: racconta la storia di una ragazza della Cisgiordania che si innamora, ha un solo rapporto sessuale e rimane incinta, la sua famiglia decide di bruciarla viva. Io essendo femminista da quando ero adolescente e per la libertà sessuale (espletata con vera coscienza dalle ragazze degli anni 60, non quella che credono di avere le adolescenti d’oggi), quindi ho deciso di dedicare tutta la mia vita a lottare contro la violenza sulle donne. Oggi faccio parte dell’Associazione Onda Rosa, il centro antiviolenza di Nuoro.

D.- Scrive per alcuni giornali online: quali argomenti tratta?
R.- Principalmente di diritto penale internazionale, di diritti umani, di intelligence, di violenza sulle donne, di criminologia; inoltre di economia e finanza.

D.-Viene da una piccola città della Sardegna, ma ha viaggiato molto e conosce diverse lingue. Dove le piacerebbe stabilire la sua residenza definitiva? Quanto offre la Sardegna nella tutela dei disabili?
R.- Non ho ancora deciso, ma mi piacerebbe molto negli Stati Uniti oppure in Spagna, o comunque dove troverò un lavoro, tutto il mondo è casa mia. Sa che Lei mi coglie in castagna per il motivo che io usufruisco solo della L. 162/98, è una legge che dà finanziamenti per pagare l’assistenza domiciliare o per progetti che stimolano la vita in autonomia o la cura dell’utente. Quando andavo a scuola ho sempre avuto sia l'assistenza per l’igiene personale che 18 ore di insegnante di sostegno. Una volta, quando avevo 8 anni, il comune ha provato a togliermi l’assistenza a scuola per tutte le ore stabilite e nel frattempo che le maestre e mia madre si chiedevano che protesta attuare, io ho scritto, di mio pugno, queste parole: "Assistente sociale di merda, i disabili servono, servono a fare lavorare le persone!", le ho stampate e le maestre le hanno portate in Comune, il giorno dopo avevo l'assistenza per tutte le ore se dovevo andare in bagno. Sono una combattente nata.
La mia città offre anche un servizio di trasporto disabili che attualmente io non utilizzo. 

D.-Ho letto che vive in totale autonomia rispetto alla sua famiglia di origine: com'è la sua giornata/tipo?
R.- Prima di tutto mi preme dire che ora vivo a casa di mammina perché mi fa tanto comodo, in attesa di comprarmi una casa tutta mia. Nonostante la mia grave disabilità mia madre (e io la adoro per questo) sembra una di quelle madri nordiche che vogliono l’indipendenza dei figli alla maggiore età. Anche io vorrei avere un’abitazione tutta mia, pur volendo un gran bene a mia madre, ma ormai siamo due donne adulte quindi con abitudini ed esigenze diverse benché abbiamo molti interessi in comune. Viviamo sotto lo stesso tetto però è come se vivessimo due vite separate in quanto siamo due donne super impegnate e, quando mi assiste, lei ora fa le veci di una normale assistente cioè non mette bocca nei fatti miei, anche perché sono abbastanza grande per avere una vita totalmente mia, ho solamente bisogno di un aiuto fisico; oltre a ciò, per mia sicurezza, voglio avere un punto di mia estrema fiducia, che può essere anche un’amicizia di vecchia data e molto forte, a poche ore di viaggio da dove abiterei io per qualsiasi evenienza. Quando devo partire senza mia madre, per esempio, mi organizzo in totale autonomia con le persone con cui devo partire. Mi sento fortunata anche perché giro per il mondo. Una mia giornata tipo non esiste per il motivo che i miei impegni variano di giorno in giorno. Mi posso alzare di notte come mi posso svegliare anche alle 12;00, ma di sicuro non vado a dormire prima delle 01:00. Come molti giovani ho orari sregolati. Vi posso dire che adoro fare gli happy hour, e andare in giro per locali fashion.
Un’altra cosa importante da dire è che voglio più di una persona che ruoti intorno a me, in quanto ho una vita “particolare” e reputo che per una persona sola sia troppo stancante seguirmi, anche se posso stare ore da sola. Dalle persone che mi assistono esigo solo un aiuto fisico, della mia vita decido solo io!

D.- Da donna, mi colpisce moltissimo anche il fatto che lei abbia anche in programma un figlio, nonostante le oggettive difficoltà della sua situazione; immagino che, da donna pratica e intelligente qual è, abbia già programmato tutto il necessario. Vorrebbe dirci come immagina la sua vita di madre?
R.- Eccola là, la domanda che mi spiazza! Quella di diventare madre per ora è solo un’idea molto vaga e alquanto egoistica, soltanto perché sento un forte istinto materno e vorrei trasmettere i miei geni ad un altro individuo, però lo crescerei con amore. Non sono in cerca di marito, la parola matrimonio mi spaventa moltissimo, mi basterebbe solo un compagno con cui fare una sola figlia femmina. Non sogno l’abito bianco…
In più di un’occasione a mia madre ho paventato il pensiero dell’inseminazione artificiale su di me oppure l’utero in affitto, pur non avendo un uomo accanto. Il brutto di una mia gravidanza è che gli ultimi mesi dovrei restare quasi totalmente allettata per evitare il rischio trombosi, il bello sarebbe sentire crescere una vita dentro di me. Se dovessi rimanere incinta e per qualsiasi motivazione abortire, lo farei anche se con la morte nel cuore. L’utero è delle donne e ognuna se lo gestisce come meglio crede! Non bisogna mai giudicare le scelte di ogni singola donna, ma soltanto rispettarle! Di sicuro prima di stabilirmi con la residenza in un luogo fisso per anni e non avendo una buona sicurezza economica, a fare una figlia non ci penso proprio. Poi c’è inoltre il problema dell’età; sinceramente penso che dopo una certa età i figli non andrebbero procreati per il motivo che più si è avanti con l’età e più alto è il rischio di mortalità, per me non è giusto lasciare un bimbo o adolescente senza genitori. Se dovessi diventare davvero madre sicuramente non rinuncerei al lavoro per nessuna ragione al mondo, però allo stesso tempo (come mi ha insegnato la mia) quando stessi con mia figlia le dedicherei del tempo di alta qualità. Mia madre è l’esempio lampante che una donna può essere lavoratrice e una buona madre allo stesso tempo, pur essendo sola ed in più avendo prole a dir poco problematica. Mi auguro di essere una buona madre come lo è stata la mia: dolce ma severa, divertente e complice, che riesca a trasmettere i miei valori. Anche se mia madre mi vede molto più rigida di lei con gli adolescenti e i bambini che incrocio. Se dovessi diventare madre lei ne sarà felice.

D.- Vorrei che concludesse con dei consigli a chi si trovasse ad affrontare situazioni analoghe alla sua; non solo consigli legati a un incoraggiamento, ma anche consigli pratici, per esempio a chi rivolgersi, come gestire la quotidianità e via dicendo.
R.- Niente è impossibile, se si sogna tutto è possibile però si deve avere il coraggio e la forza di lottare! Io ho sempre fatto cose che fanno le persone “normali”, ne ho fatto anche di più e da adolescente sono stata molto ribelle… Personalmente non ci siamo quasi mai rivolte ai servizi sociali, anche perché le assistenti sociali hanno più volte lodato la mia cara mamma per il suo essere madre.  A volte mi dice: “avrei voluto un po’ di riposo lasciandoti ai servizi sociali, ma non ti hanno voluta. Cosa ho fatto di male?” e io replico ridendo: “Tu sei stata una bravissima madre!”. Mia madre ha scelto le tate e poi io le mie assistenti in colloqui privati. Se mi ricordo bene, se si chiamano attraverso una cooperativa si devono pagare di più, in quanto bisogna dare una percentuale all’associazione. C’è da dire che io non ho bisogno di trattamenti infermieristici particolari e che la mia famiglia non è indigente (per mia fortuna) perché ogni mese per pagare l’assistenza spendiamo come minimo 1.100 € la paga va in base alle ore che fanno, a volte anche meno di tale cifra. Quando esco voglio sempre un’assistente oppure un amico, anche perché io non parlo, ma comunico con i comunicatori e qualcuno me li deve dare, oppure se mi serve qualcosa ho bisogno di una persona accanto. Invece a casa mia, una volta che sono sulla carrozzina, mi sono lavata e ho mangiato preferisco stare da sola, mi arrangio. L’abbiamo sistemata per avvantaggiare la mia autonomia. Non mi piace dire dove abito perché fidarsi è bene, non fidarsi è meglio; in più quando sono sola tengo la tv o radio a volume alto per dimostrare che in casa c’è qualcuno. Chi mi conosce bene sa che quando sono da sola e vuole venire a casa mi deve mandare prima un messaggio sull’iPhone, altrimenti non apro di certo. Se dovesse succedere qualsiasi cosa so benissimo come reagire e comunque se c’è un’urgenza mando un messaggio e qualcuno arriva. Inoltre da poco ho cambiato carrozzina e ho voluto una semi sportiva, anche se per sua natura è pericolosa in quanto si ribalta facilmente, però mi consente di andare più velocemente facendo il minimo sforzo, in più ho voluto anche il grip, un rivestimento in gomma che si mette sul corrimano delle ruote e che consente di spostare la carrozzina anche con i gomiti, avanbracci, oppure col palmo della mano senza aprirla o anche con un solo dito perché la gomma crea attrito e si ha un’ottima presa. Quando ho un impegno cerco di avvisare per tempo la persona che mi deve assistere, a volte capitano gli imprevisti e veramente si corre per arrivare il prima possibile. È molto stressante ma voglio dimostrare che la mia patologia non mi preclude di avere una vita stressante come qualunque altra donna in carriera. Per quanto riguarda i viaggi vi segnalo un’ottima associazione, “Strabordo” che organizza bellissimi viaggi per disabili e non. I viaggi per piacere o per lavoro me li organizzo anche da sola. Per lavoro vado anche in luoghi non proprio rilassanti, è una sfida soprattutto con me stessa, ma non mi spaventa. Ho scelto di fare un lavoro non proprio rilassante per una donna con disabilità. Un altro consiglio è: per ogni viaggio scegliere accompagnatori più consoni a quel tipo di soggiorno.                      

D.- La ringrazio infinitamente e le auguro di realizzare i suoi desideri.
R.- Grazie a lei; mi auguro che quest’intervista possa servire a molte persone anche non diversamente abili.



mercoledì 15 giugno 2016

La sfida di "Aliud" all'impoverimento culturale; Intervista a Giuseppa Sicura.

La dottoressa Giuseppa Sicura, della redazione di "Aliud"
Il numero zero del trimestrale di letteratura "Aliud"






Buongiorno Dottoressa Sicura

desideravo intervistarla in merito alla rivista trimestrale di poesia intitolata Aliud , nata molto recentemente, con collaboratori da tutta Italia, che prevalentemente si occupa di poesia, ideata da lei e dalla dottoressa Bianca Mannu, in merito alla quale desidero complimentarmi, essendo una rivista con articoli di qualità.

 D.- Come è nata l'idea di creare in Sardegna un trimestrale di poesia e cultura letteraria? Vi è venuto il pensiero che potesse confondersi tra le centinaia di riviste più o meno valide, spesso create per dare visibilità ed essere fonte di guadagno per case editrici poco serie?

R – L’idea della rivista è nata dall’esigenza di esprimere contenuti diversi dai soliti, che giornalmente invadono il Web e che costituiscono una costante comune alla maggior parte delle opere auto-pubblicate, dove largo spazio è dato a sentimenti e vicende di carattere troppo personale e intimistico. Partendo da tale esigenza, come titolo abbiamo infatti trovato perfetto, nella sua sinteticità, il termine latino ALIUD (altra cosa). L’umanità sta vivendo momenti molto difficili, a livello planetario, con fenomeni di gravità estrema, come la mancanza di lavoro, di cibo, le guerre, l’emigrazione di popoli, ecc., di cui abbiamo notizie dirette giornalmente e tutto ciò credo che non possa lasciare indifferenti nessuno e soprattutto i poeti e gli scrittori che, utilizzando uno strumento molto potente come la parola, dovrebbero, oggi più che mai, allargare lo sguardo oltre la sfera personale e farsi partecipi e testimoni del proprio tempo. Le linee programmatiche, delineate nei primi editoriali dei nostri “Fogli” si basano su questa sensibilità, che manca o viene trascurata dalla maggioranza degli autori, i quali tendono a privilegiare le inquietudini del proprio Io, spesso con esagerato lirismo, e si disinteressano totalmente di quelle che coinvolgono l’intera comunità umana. ALIUD tende invece a dare spazio a contenuti che privilegiano le manifestazioni e i problemi del Noi, senza comunque scartare del tutto le opere di carattere più personale, qualora non siano semplicemente uno sfogo terapeutico, ma sottendano un percorso di pensiero profondo e originale. Vengono selezionati attentamente i testi e per la scelta si tiene sempre conto sia del contenuto che della forma e del risultato artistico-letterario. A volte quest’ultimo può anche essere trascurato qualora il testo presenti una particolare originalità o interesse documentaristico; viene invece scartato ogni contenuto pregno di sproloqui ed esagerazioni, dettati semplicemente dalle esigenze egocentriche del proprio ombelico. In genere affianchiamo i versi o i brani di prosa con qualche commento, che certamente non pretende di essere verità assoluta, ma esprime solo un nostro punto di vista personale e il più possibile sincero, nel totale rispetto degli autori.
Abbiamo sicuramente considerato la scarsa presenza di riviste letterarie nella nostra regione e nelle nostre più immediate vicinanze. Qualcosa è stato già pubblicato nel passato e qualcosa in questo senso ogni tanto viene alla luce, ma sapevamo comunque che ALIUD, avrebbe avuto struttura e impostazione completamente diversa. Il confronto con altre riviste non ci preoccupa ed è lungi da noi l’interesse economico. Tutto nasce solo dalla passione per la scrittura e dalla volontà di dare visibilità a opere meritevoli, di contro all’andazzo delle varie case editrici che, pur di guadagnare, pubblicano anche l’insignificante, il nulla.



D.-  Come è strutturata la rivista? A quale pubblico si rivolge, quali temi predilige e perché?

R – La rivista è strutturata in due parti, nella prima trattiamo di poesia, nella seconda di prosa.    
All’interno di ognuna delle parti sono inserite varie rubriche, alcune fisse, altre variabili, a seconda del materiale disponibile per la pubblicazione. Vogliamo sentirci liberi, non ingabbiati in schemi troppo rigidi. Nella prima pagina, che fa anche da copertina, inseriamo un editoriale e la poesia di un autore della letteratura italiana o straniera del ‘Novecento, di cui in seconda e terza pagina si danno notizie sulla biografia e sulla poetica. Cerchiamo nelle altre pagine di dare spazio sia ai lavori degli autori facenti parte della redazione sia a quelli di poeti e scrittori di tutta Italia, esordienti o non, tenendo conto della compatibilità con le linee programmatiche esposte nel N.0 e N.1 e che in qualche modo ribadiremo anche negli altri numeri. Tendiamo comunque soprattutto a dare ai nostri lettori lavori di buon livello culturale, che si distacchino dalla tendenza comune e ci rivolgiamo ad un pubblico che sappia apprezzare non solo tutto ciò che riesce a far vibrare le corde del “cuore”, ma anche e soprattutto ciò che possa lasciare un segno, una traccia, in quanto capace di sommuovere, coinvolgere o sconvolgere  anche “il pensiero”, fonte e motore di ogni espressione emozionale; ci rivolgiamo ad un pubblico capace di guardare e osservare con una sensibilità nuova, aperta a grand’angolo perché, ricordiamoci, è attraverso i sensi che passa comunque la nostra conoscenza del mondo esterno, prima di raggiungere il pensiero e tramutarsi in emozione e poi in parola e pertanto questi (i sensi) dovrebbero essere sempre esercitati all’osservazione di tutto ciò che accade oltre noi e ci circonda o coinvolge e così facendo ci renderemo conto che al momento in cui rivolgeremo di nuovo lo sguardo per osservare ciò che ribolle dentro noi, ci si aprirà non un piccolo scrigno, ma un universo. Un universo che comunque soltanto un pensiero affinato saprà tradurre in parole, quel pensiero in quotidiano contatto con la lettura di opere che siano frutto di una profondità di riflessione e ricerca e abbiano un’indubbia valenza umana e letteraria.


D.- Come riuscite a sostenerne le spese?

R - Pur essendo ALIUD un piccolo opuscolo, le spese sono considerevoli, soprattutto per la stampa, ma finora siamo riusciti, con i contributi dei lettori, ad andare avanti, anche perché tutto il lavoro svolto dai membri della redazione e dai vari collaboratori è a titolo gratuito. Infatti la caratteristica di questi “Fogli trimestrali” è che nascono dalla passione per la scrittura, che anima tutti i componenti della redazione e che pertanto non mirano a ricavarne alcun guadagno, ma solo a dare visibilità alle opere meritevoli di considerazione.

D.- Avete ruoli diversi lei e la dottoressa Mannu? Quali sono gli altri collaboratori e con quali incarichi?

R – Abbiamo insieme la direzione e il potere decisionale. Io svolgo anche il compito di segretaria e mi occupo dell’impaginazione. I collaboratori fissi sono: l’Avv.Carlo Onnis, poeta e scrittore, Mariatina Biggio, poetessa, Florio Frau, ex insegnante, poeta e scrittore; hanno condiviso il progetto e oltre a metterci a disposizione i loro scritti, hanno contribuito economicamente alla nascita della rivista e svolgono potere consultivo. Dal prossimo numero si aggiungerà un nuova collaboratrice stabile, la Dott.essa, poeta e scrittrice, Katia Debora Melis, già presente nel N.1 e nel N. 2.

D.- Può descrivere la “giornata tipo” della redazione di Aliud e raccontare qualche aneddoto curioso, se ve ne fossero? Chi decide la linea di ogni numero?

R – Non c’è una giornata tipo, la nostra è una redazione “sui generis”. Ci riuniamo periodicamente, circa due o tre volte al mese, per discutere sul materiale da pubblicare. La linea del numero può essere suggerita da ognuno di noi, ma viene decisa concordemente, dopo qualche incontro. Progettiamo poi le singole pagine dividendoci i compiti sia per la scrittura dell’editoriale che per la scelta dell’autore della prima pagina e dei vari commenti. In genere io e Bianca ci occupiamo anche degli autori che pubblichiamo a tutta pagina, con scheda biografica e commento dei brani o delle poesie. Spesso con lei definiamo i particolari e le decisioni anche telefonicamente o via e-mail. Quando il progetto del nuovo numero è chiaro ed il materiale è già disponibile io preparo l’impaginazione a casa mia e al mio pc,  poi ci riuniamo di nuovo per approvarla e portarla in stampa. A volte può capitare che si facciano delle variazioni o che qualcuno ritarda nel consegnare il materiale. Uno dei collaboratori da rincorrere sempre è Carlo Onnis, raffinato e prolifico poeta, sempre impegnato in tante altre faccende ( prove teatrali - corsi- associazioni varie – facebook - ecc.); ma come fare a meno del suo spirito gioviale e delle sue pronte battute poetiche o parapoetiche?

D- Avete dato vita a questo giornale anche spinte da altre considerazioni non strettamente letterarie, per esempio la povertà del panorama culturale o il fatto che la cultura possa essere asservita ad interessi economici o di potere?

R -  Oggi più che mai è molto difficoltoso, per poeti e scrittori, riuscire ad attirare l’attenzione delle case editrici e l’unica chance è l’auto-pubblicazione, che oltre ad essere costosa, non garantisce la distribuzione nelle librerie, per cui le nostre opere sono destinate a viaggiare solo all’interno del parentado e della cerchia amicale. Le piccole case editrici, anche quando dicono di pubblicare non a pagamento(???) vogliono materiale non di valore, ma commerciale, facilmente vendibile per soddisfare le esigenze di lettori sempre più distratti e sbrigativi. Le grandi case editrici sono blindate, irraggiungibili, aperte solo ad una ristretta cerchia di autori, sempre gli stessi, fritti e rifritti in tutte le salse. Entrare in quel circolo è quello a cui  ogni autore comunque aspira, per avere la giusta visibilità, ma è un evento di carattere nepotistico o divinatorio. Bisogna trovare e propiziarsi il santo giusto. Purtroppo tutto ciò che è fonte di guadagno è sempre soggetto a ingerenze varie,  anche di carattere politico ed economico e a maggior ragione ciò vale per la cultura, attraverso la quale si possono anche veicolare pensieri e progetti di potere, si possono indirizzare e manovrare popoli interi. Ma per noi cultura è sinonimo di libertà e in blocco rifiutiamo tutto ciò che abbia anche solo l’odore dell’asservimento.
In quanto al panorama culturale, non c’è povertà, se ci riferiamo alla quantità, poiché con le auto-pubblicazioni prolificano i libri di prosa e di poesia; se ci riferiamo invece alla qualità,  sembra che tutti prediligano percorrere le medesime strade che non portano da nessuna parte se non verso una voragine abissale. Ed è questa considerazione una delle molle che ci ha spinto a creare ALIUD, come a voler arginare il fenomeno, impresa che, ne siamo pienamente consapevoli, potrebbe assumere connotati donchisciotteschi.

D. - Lei  è siciliana, si è trasferita in Sardegna diversi anni fa e ha pubblicato un libro di poesie nel quale parla della sua terra di origine: quindi non esiste solo il mal di Sardegna, ma anche il mal di Sicilia? Vorrebbe scrivere qui e commentare la poesia che predilige?

R – Si, sono un’emigrata degli anni settanta, venuta in Sardegna per insegnare e poi convolata a nozze con un cagliaritano. Pertanto la Sardegna è diventata per me una terra adottiva, alla quale non avrei potuto non affezionarmi, ma la nostalgia per la Sicilia e per il mio paese, con l’avanzare dell’età, si acutizza. Sono un’inguaribile nostalgica, ma oggi cerco di arginare questo sentimento o di gestirlo più pacatamente, allargando l’orizzonte degli interessi che includono altre urgenze e necessità. Una delle poesie che leggo sempre volentieri non fa parte del libro “Muri di pietra”, ma di una silloge ancora inedita di circa 40 poesie tutte in dialetto gallo-italico, una variante del siciliano che si parla ancora in pochi paesi, compreso il mio. Sono pochi versi, dove ho cercato di esprimere  ciò che provo quando ritorno lì. Tutto assume una dimensione diversa, sia fuori che dentro di me, e vivo una specie di piacevole stordimento che mi fa sentire libera da ogni preoccupazione contingente, tanto che potrei nutrirmi davvero solo d’aria. Penso però che questo tipo di sentimento possa essere riferibile a qualsiasi luogo e riguardare chiunque, per vari motivi, sia costretto ad allontanarsi per sempre o per lungo tempo dalla propria terra nativa. Si tratta di un’inquietudine generata dall’assenza e dalla percezione di un “altrove” perduto per sempre, ma che si vorrebbe recuperare. Un sentimento nostalgico che ha dato origine a fiumi di poesia, che viene appunto denominata genericamente come “poesia d’esilio”. Ad esprimerlo non basteranno mai del tutto le parole e solo chi ne ha esperienza diretta credo possa comprendere appieno questa forma di malessere generata nel distacco dalle proprie radici, con una lesione non cicatrizzabile, che inevitabilmente produce crisi e disorientamenti nella personalità.

OGNI  VȎTA

Ogni vôta ca tornu cca
nmenzu a ‘sti casi
cummigghiati ‘i suli
si sciugghiunu i fili
ca ntrizzunu u tempu
l’afa accupusa
si fa vitru trasparenti
e i ma pinsieri
nun pisunu chiù nenti
nun hannu patruni
sbattunu l’ali
e comu l’ucieddi
cercunu u cielu
e si mangiunu l’aria.

OGNI  VOLTA

Ogni volta che torno qui
tra queste case
incartate di sole
si sciolgono i fili
che intrecciano il tempo
l’afa soffocante
si fa vetro trasparente
e i miei pensieri
… leggeri
senza padroni
agitano in alto le ali
e come uccelli
cercano il cielo
e si nutrono d’aria.



D.- Aliud è ancora in evoluzione?

R – Certo, ALIUD è una creatura appena nata e come tale soggetta a mutazioni e consolidamenti.


D- Grazie della sua gentilezza e buon lavoro a lei e tutta la redazione.

R- Grazie a lei per la considerazione e l’attenzione.



mercoledì 8 giugno 2016

Soldati di pace

Un'intervista a un Servitore dello Stato, che ha scelto di mantenere l'anonimato.

Foto dei militari dell'Esercito Italiano tratta dalla pagina Facebook ufficiale

Buongiorno ai miei lettori.
L'intervista che oggi vi propongo, è stata gentilmente concessa da un appartenente all'Esercito Italiano.

A. Grazie per avermi concesso questa intervista. Lei svolge un lavoro estremamente delicato, serve lo Stato nell’Esercito e lo fa silenziosamente, con coraggio e tenacia, come tutti i suoi colleghi.
Vorrebbe dirci come ha cominciato e cosa l'ha spinta ad intraprendere questa strada?

R.  Ho cominciato questa avventura quasi per caso. C’era ancora la leva obbligatoria e, dovendo fare il servizio militare, ho deciso di servire in maniera utile e soddisfacente, appassionandomi a questa vita e avendo la fortuna di poter rimanere nell’Esercito. Posso dire di avere la fortuna di fare   un lavoro in cui ho fatto e faccio cose per cui pagherei anziché essere pagato.

A. Lei ricopre un ruolo particolare? Quali sono le sue mansioni?
R. Faccio il Soldato cercando di essere utile alla Comunità Civile. Il resto è accessorio.

A. So che è stato impegnato in particolari missioni, anche all'estero. Può raccontare qualcosa, descrivere situazioni, emozioni e, perché no, soddisfazioni di quelle esperienze?
R. L’impiego all’Estero è ormai parte integrante del lavoro di chiunque porti le stellette. Lavorare fuori sede, in Teatri Operativi difficili e completamente diversi dalle nostre realtà, è qualche cosa che difficilmente può essere spiegato a parole. Non è solo il compito del Militare col fucile. E’ la conoscenza di mondi profondamente diversi dal nostro, con cui rapportarsi per ottenere un risultato di alta valenza sociale. Vedere quanto siamo fortunati a vivere dove viviamo e quanto sia difficile sopravvivere in certe realtà ci porta a dare il giusto peso a quei problemi che per l’Italiano generico medio, e per l’Occidentale in generale, sembrano giganteschi ed insormontabili mentre di fatto sono piccolezze. Operare all’Estero chiede tantissimo in termini di condizioni di vita e di affetti personali, ma dà altrettanto in soddisfazioni per l’esperienza e la conoscenza profonda ed altrimenti impossibile dell’Umanità varia che ci circonda.

A. Cosa pensa del fatto che il servizio militare non sia più obbligatorio da diversi anni?
R. Premesso che sono sempre stato fermamente convinto che una Società che voglia definirsi civile non possa e non debba servirsi di coscritti, perché il Servizio Militare deve essere strutturato, come ora è, su base volontaria, senza costrizioni anacronistiche, ritengo che da un punto di vista sociale ci sia qualcosa che manca ai nostri giovani. Mi spiego meglio: tralasciato l’aspetto prettamente militare, che non è in questione, vivere a stretto contatto con realtà sociali, culturali e geografiche diverse portava indiscutibilmente a crescere sotto molti punti di vista. Così come il rispetto delle regole e del prossimo era più sentito perché inculcato in maniera pressante per dodici mesi. Luci ed ombre, come sempre, ma resta l’anacronismo della  Leva Obbligatoria che fa premio su tutto.
A. In passato si sentiva parlare spessissimo del “nonnismo" nelle caserme, in conseguenza  del quale si sono avuti casi di suicidio. Con la leva volontaria il problema sembra essere estinto, o almeno non se ne sente più parlare. Che ne pensa?
R. Penso che fosse un falso problema, nel senso che il “nonnismo” in senso lato esiste dappertutto. Nei posti di lavoro (mobbing orizzontale) come  a scuola (bullismo). Sono fenomeni dati dall’ignoranza  di certi elementi che si fanno forti del tempo che è passato invece che delle loro qualità personali, in genere scarse. Prima avevamo i Coscritti, ed il fenomeno veniva importato in caserma dalla vita cosiddetta civile. Ora i nostri ragazzi sono dei professionisti che pensano al  loro lavoro anziché a perdere tempo con queste sciocchezze, anche perché chi dovesse provare a far valere la sua anzianità anziché le sue qualità verrebbe inesorabilmente messo in un angolo da tutti.

A. Crede che il vostro lavoro goda di sufficiente considerazione da parte del mondo politico e della cittadinanza, nel nostro Paese? Quali sono le problematiche ad esso connesse e quali miglioramenti si potrebbero apportare?
R. Domanda che richiederebbe un lungo excursus storico. Ve lo risparmio dicendo semplicemente che siamo passati dal disprezzo totale ad essere tollerati, per poi vedere timidi segni di apprezzamento che sono fortunatamente approdati ad un rispetto grandissimo unito ad un sentimento di riconoscenza per il nostro lavoro. Direi che è un gran risultato che per ora ci basta, anche se non ci abbandona la speranza di migliorare ulteriormente.

A. Consiglierebbe a un giovane di percorrere la sua stessa strada? Quali possono essere i pro e i contro?
R. Non consiglio niente a nessuno per mia natura. Dico solo che chiunque voglia abbracciare questa vita deve avere ben presente che sacrifici e rinunce sono tanti, per cui le motivazioni devono andare oltre la retribuzione o il supposto prestigio sociale che questa condizione comporta. Se ci si crede posso dire che le soddisfazioni ripagheranno dei sacrifici. Se no è meglio lasciar perdere.

A. La ringrazio di cuore per avere risposto alle mie domande e per quello che lei e i suoi colleghi fate, anche  mettendo a rischio la vostra vita.
R. Sono io che ringrazio per questa finestra aperta sul nostro mondo.  Chiudo dicendo che ciò che noi facciamo è uno dei mattoni che costruiscono la nostra Società, che si confonde  con quelli di tutti coloro che lavorano con  in mente il bene comune e non solo il proprio particolare.