Quella che segue è l'intervista a Giovanni Sarubbi, direttore de "Il dialogo" (www.ildialogo.org), giornale online nato a Monteforte Irpino (AV), votato al dialogo interreligioso e alla cultura della pacifica convivenza tra i popoli.
La home del giornale online "Il dialogo", fondato da Giovanni Sarubbi |
D._ Buonasera, Direttore. Vorrei rivolgerle alcune
domande circa la sua rivista online “Il dialogo” (www.ildialogo.org), un
periodico di cultura, politica e dialogo interreligioso dell’Irpinia.
Un giornale molto ricco, interessante, senza scopo di lucro,
basato sul lavoro volontario.
Quando è nata l’idea di un giornale di così ampio
respiro? A quali esigenze risponde?
R. Il giornale è la continuazione su internet di un giornale
cartaceo che si è stampato a Monteforte Irpino dal 1996 al 1998. Tre anni molto
impegnativi sul piano politico e sociale. Allora il giornale aveva lo scopo di
risvegliare la stampa politica cittadina e si inseriva in un progetto politico
legato ai partiti di quello che allora si chiamava ULIVO. C’era un gruppo di
persone che collaborava che faceva parte sia dell’allora PDS, sia dell’allora
Partito Popolare, cioè dei partiti che avevano sostituito rispettivamente PCI e
DC. Oltre ai fatti locali il giornale spaziava su molte problematiche di tipo
nazionale, quali l’ambiente ed il dialogo interreligioso. In quegli anni si
stabilì un rapporto con il Villaggio Evangelico sito a Monteforte, che allora
era gestito ancora dalla Tavola Valdese. Quando poi nel 1998 il gruppo che
aveva dato vita al periodico, che si stampava ogni 15 giorni ed andava
letteralmente a ruba, si sciolse perché perse le elezioni comunali, io rimasi
solo e fu quasi automatico il suo trasferimento on-line su Internet che allora
stava cominciando a consolidarsi.
Il giornale come è adesso è legato sostanzialmente alla mia
passione cinquantennale per il giornalismo. Ho cominciato a scrivere articoli
all’età di 14-15 anni e da allora ho sempre continuato prima su vari fogli
ciclostilati, come si usava negli anni 60 e 70, poi su giornali nazionali
legati a partiti politici di sinistra. Ed è proprio questa esperienza che mi
portò nel 1984 alla iscrizione come pubblicista all’albo dei giornalisti. Ho
poi collaborato a diversi giornali locali e nazionali, quali “Il Mattino” di
Napoli, o riviste dell’area religiosa come Tempi di Fraternità, Confronti, il
settimanale della diocesi di Avellino “Il Ponte”. Ed alcuni altri periodici
provinciali. Il giornale on-line nacque quasi per scommessa durante una discussione
all’interno di un gruppo interreligioso che allora esisteva ad Avellino e di
cui facevo parte. Per un annetto feci le prove su uno spazio web gratuito e poi
registrai il dominio www.ildialogo.org
su cui attualmente è installato il giornale. La svolta fu la tragedia dell’11
settembre del 2001. In quella occasione mi fu chiesta la disponibilità ad
ospitare sul sito l’iniziativa della giornata del dialogo cristiano-islamico
che fu lanciata proprio subito dopo quei tragici eventi. Seguendo quella
esperienza il giornale si è andato via via sviluppando e arricchendo di
argomenti, ce ne sono un centinaio attualmente sul sito, su tutto ciò che si
muove nell’ambito religioso o politico sociale. Argomenti di punta del sito
sono stati la questione dei preti pedofili, di cui siamo stati fra i primi ad
occuparci, o la questione dei preti sposati o della omosessualità in rapporto
alla chiese cristiane. Ci siamo legati ai movimenti di base della chiesa
cattolica ma anche a quelli di matrice protestante. Oggi il sito risponde alle
esigenze di quanti cercano informazioni sui temi della pace e del dialogo
interreligioso o di una spiritualità scevra da ritualismi e gerarchie,
libera e liberante. Esigenze che in
numeri significano una media di visite giornaliere al sito di oltre 6000
persone, circa 200mila al mese e oltre due milioni l’anno.
D._ Il giornale è nato in Irpinia, ma non si rivolge
espressamente a un pubblico irpino. Il tema principale del suo giornale sembra
essere il dialogo interreligioso: quest’ultimo è presente, in Irpinia? Il suo
giornale ha dato un contributo sostanziale a tale dialogo nella piccola realtà
territoriale irpina?
R. Il dialogo interreligioso è stato presente in Irpinia e
ha sviluppato numerose iniziative, alcune di portata addirittura mondiale. Il
tutto si è sviluppato quando ad Avellino era vescovo il compianto mons. Antonio
Forte che credeva fermamente nel dialogo ecumenico ed interreligioso. Fino a
quando c’è stato lui alla guida della diocesi la settimana di preghiera per
l’unità dei cristiani si faceva molto seriamente e così quella del dialogo con
gli ebrei. Sempre mons. Forte fu tra i primi firmatari dell’appello per la
giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico, promuovendo iniziative su
tale terreno con diverse manifestazioni per la pace fatte in città e con
diversi incontri con imam musulmani. C’è stato, ad esempio, un incontro
interreligioso in una chiesa della diocesi durante la quale un musulmano irpino
parlò dall’altare durante l’incontro, cosa che fino a quel momento era un tabù.
Con la sua sostituzione il dialogo ecumenico ed interreligioso è praticamente
scomparso, anche per il contemporaneo trasferimento di alcuni preti, anch’essi
legati all’ecumenismo, con i quali abbiamo sviluppato numerose iniziative. Si,
in quell’epoca come giornale abbiamo dato un contributo sostanziale al dialogo
interreligioso. Ricordo, ad esempio, un dibattito sul tema della intercomunione
tra cattolici e protestanti di cui abbiamo avuto un episodio in Irpinia, credo
unico al mondo. Episodio che provocò molto rumore e scompiglio sia in ambito
cattolico sia in ambito protestante ed in particolare nella chiesa valdese.
D._ Molto sentito, nel suo giornale, è anche il problema
della guerra e della necessità di porvi fine; ma, nella realtà, l’obiettivo
della pace sembra essere molto lontano. Lei crede che il dialogo interreligioso
possa davvero contribuire alla pace? Non crede invece che, considerata la
tendenza degli esponenti religiosi ad affermare la supremazia della propria
religione sulle altre, già questo di per sé pregiudichi la possibilità reale di
dialogare, allontanando quindi la pace? O sono altri a non volere la pace?
R. Le religioni, per lo meno fino alla Pacem in Terris di
Giovanni XXIII, sono state a rimorchio dei rispettivi governi quando essi
scatenavano la guerra. È successo così ancora nel secolo scorso sia con la
prima che con la seconda guerra mondiale. Le varie confessioni cristiane hanno
combattuto armi in pugno l’un contro l'altra armate per sostenere i propri
principi, imperatori, presidenti della repubblica. Cattolici e protestanti in
Germania, ai tempi di Lutero, erano alleati nella lotta contro i contadini
nella guerra dei trent’anni. Guerra che era sostenuta teologicamente da una corrente
riformatrice radicale, gli anabattisti, che rifiutavano la sottomissione ai
principi, che fu sancita nella pace di Augusta con la famosa formula “cuius
regio eius religio” (cioè "Di chi è la regione, di lui si segua la
religione"). Gli eserciti uniti cattolici-protestanti distrussero questa
corrente radicale che si era asserragliata nella città di Munster. Fra le
confessioni cristiane e le religioni esiste un ecumenismo del male che è molto
forte ed ancora esistente. Sulle cose che negano le stesse fondamenta delle
rispettive religioni, tutte le religioni vanno d’accordo, a cominciare da quel
“non uccidere” che è scritto in tutti i codici religiosi esistenti. Io penso
che oggi sia sempre tempo di dialogo fra le religioni. "Non c'è pace tra
le nazioni senza pace tra le religioni. Non c'è pace tra le religioni senza
dialogo tra le religioni. Non c'è dialogo tra le religioni senza una ricerca
sui fondamenti delle religioni". Lo ha scritto il grande teologo e storico
Hans Küng. Questa frase campeggia come introduzione alla sua trilogia su
Ebraismo, Cristianesimo ed Islam. Quella del dialogo è una strada certo irta di
ostacoli ma è l'unica che uomini e donne di volontà buona possono seguire.
Tutte le altre portano alla guerra e all'autodistruzione. Abbiamo invece
bisogno di teologi che in tutte le religioni sappiano costruire il dialogo.
Finora teologi e filosofi sono spessissimo stati usati per supportare, con le
loro idee, la guerra. Per la sopravvivenza dell'umanità abbiamo ora bisogno di
teologi e filosofi per il dialogo. È questo l'impegno per il quale noi
lavoriamo e vogliamo continuare a lavorare.
D._ Noto che il suo giornale conduce alcune battaglie;
recentemente ha iniziato a pubblicare una rassegna su “prostituzione,
pornografia, pedofilia”. Con quali obiettivi e con quali risultati?
R. Fra le cose che facciamo ci sono quattro rassegne stampa
quotidiane. C’è quella sull’Islam, quella sui Brics, quella sulla chiesa
cattolica, ed infine quella da lei indicata. É un modo per mettere in circolo
notizie su cui riflettere. Quella su “prostituzione, pornografia, pedofilia” ha
il preciso scopo di suscitare una sensibilità contro fenomeni devastanti che
oramai proliferano soprattutto su Internet. La pornografia è diffusissima e si
può capitare su un sito pornografico anche senza volerlo. Le email spam
diffondo spessissimo materiali pornografici o link a siti pornografici nascosti
in link apparentemente innocui. La pedofilia e la pedopornografia, usano
abbondantemente la rete internet per diffondere tali materiali. Insomma abbiamo
creduto essere per noi un obbligo morale di fare qualcosa contro tali pratiche
che degradano la persona umana e che recano gravissimi danni ai bambini e alle
donne. Siamo anche contrari alle varie proposte di legge, di marca fascista e leghista,
che vogliono legalizzare la prostituzione, ritornando alla mostruosità dei
bordelli del regime fascista. Sono cose inaccettabili contro cui è necessaria
una ribellione morale della società sempre più aggredita da spettacoli
indecorosi e violenti nei confronti delle donne e dei bambini.
D._ Lei è anche uno scrittore; di recente, ha presentato
un libro dal titolo “Avventisti, Christian Science, Mormoni, Testimoni di
Geova” per la collana FattoreR, edizioni EMI. Ce ne vuole parlare, in breve?
R. È un libro nato nell’ambito di una collana che ha cercato
di fare il punto e descrivere quasi tutte le religioni esistenti. A me è stato
affidato il compito di descrivere le quattro religioni nate nel 1800 negli USA.
È un libro che io ho scritto perché, come ricordava Kung, per fare dialogo fra
le religioni è necessario conoscere i fondamenti su cui esse si basano. È un
modo con il quale ho voluto impegnarmi personalmente su tale terreno.
D._ Oltre che scrittore, è anche poeta. Vorrebbe qui
scrivere e commentare una poesia che le piacerebbe far conoscere?
R. Definirmi poeta mi sembra eccessivo. Nel corso della mia
vita ne ho scritto molte ma non le ho mai pubblicate. Alcune le ho pubblicate
recentemente sul sito e riguardano la guerra. È una problematica che mi
coinvolge molto e che mi fa soffrire molto. La pace, nella tradizione islamica,
è uno dei nomi di Dio. È forse il nome più bello e il più invocato. Vorrei che
fossimo tutti poeti della pace, che ognuno di noi riuscisse a tirare fuori dal
proprio animo pensieri di pace su cui costruire relazioni, amicizia,
solidarietà, senza la quale l’umanità semplicemente non esiste. Ve ne propongo
una, l’ultima, amara e dolorosa, che rappresenta bene il dolore che ho nel mio
cuore.
UNA BOTTA E VIA
di Giovanni Sarubbi
Gli avevano
detto di sorridere, di cantare, di gridare viva l'Italia.
La banda suonava marce militari,
e i bambini applaudivano,
e buttavano coriandoli come ad una festa.
I soldati in colonna marciarono davanti a loro.
Presentarono le armi ai loro familiari.
Si imbarcarono per terre lontane,
tutti volontari, tutti convinti di andare in guerra.
Un vescovo li benedisse e disse una preghiera su di loro.
Era una orazione funebre, ma loro la presero per un incitamento.
Erano già morti.
Lo sapevano i generali.
Lo sapeva il governo che aveva deciso la guerra.
Lo sapeva il vescovo che li benedisse.
A loro avevano detto che sarebbe stato facile,
una botta e via.
In 15 giorni li facciamo fuori tutti e torniamo ricchi.
Questa era la promessa.
Erano 5000, non ne tornò che uno.
Degli altri neppure la piastrina di riconoscimento.
Si guardava intorno come stralunato.
Provarono ad interrogarlo. Non rispose.
Provarono ancora. Non rispose.
Era morto ma vivo.
Aspettava che qualcuno togliesse la spina.
La banda suonava marce militari,
e i bambini applaudivano,
e buttavano coriandoli come ad una festa.
I soldati in colonna marciarono davanti a loro.
Presentarono le armi ai loro familiari.
Si imbarcarono per terre lontane,
tutti volontari, tutti convinti di andare in guerra.
Un vescovo li benedisse e disse una preghiera su di loro.
Era una orazione funebre, ma loro la presero per un incitamento.
Erano già morti.
Lo sapevano i generali.
Lo sapeva il governo che aveva deciso la guerra.
Lo sapeva il vescovo che li benedisse.
A loro avevano detto che sarebbe stato facile,
una botta e via.
In 15 giorni li facciamo fuori tutti e torniamo ricchi.
Questa era la promessa.
Erano 5000, non ne tornò che uno.
Degli altri neppure la piastrina di riconoscimento.
Si guardava intorno come stralunato.
Provarono ad interrogarlo. Non rispose.
Provarono ancora. Non rispose.
Era morto ma vivo.
Aspettava che qualcuno togliesse la spina.
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