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mercoledì 30 novembre 2016

Non mi do per vinto e vi parlo d'amore e... algoritmi. Alessio Tropeano racconta il suo romanzo d'esordio

Alessio Tropeano

di Alessio Tropeano


La copertina di "Finché Parkinson non ci separi", di Alessio Tropeano







  
Buonasera, dottor Tropeano.
Le dico subito che il suo libro “Finché Parkinson non ci separi”, 2016, Albatros Edizioni, mi ha sorpreso: mi aspettavo che trattasse estesamente della malattia di Parkinson, ma ho trovato un romanzo amoroso a tinte gialle, al quale il Parkinson fa da sfondo. Era precisamente questa la sua idea, o è venuto fuori così in corso d’opera? Può delinearne brevemente la trama?

  Salve dottoressa, io non sono un neurologo e nemmeno un medico. Non ho, perciò, le competenze necessarie per trattare in modo rigoroso un tema così specifico. Lei ha ragione quando colloca il mio libro nel genere letterario della narrativa e dunque effettivamente il mio libro è un romanzo che parla di amore, speranza, apparenti tradimenti, esaltazione della bellezza femminile. Dunque nessuna pretesa di fare una lectio magistralis sul Parkinson.
Le idee, come lei sicuramente concorderà, mutano ed evolvono. Questo è capitato anche mentre scrivevo ma, nello specifico, solo entro certi limiti.
Io narro di fatti , dove il protagonista insieme agli altri personaggi vive momenti di vita quotidiana.
Parlo del disorientamento di uomini e donne , di amore, e soprattutto di speranza. Accanto al protagonista, decisamente figura forte e determinata, anche se un po' tormentato, e alla sua ricchezza interiore, ruotano personaggi con la loro personalità talmente viva che sembrano reali. In particolare le figure femminili di cui ho esaltato la bellezza, la naturale eleganza e la loro intelligenza. Non a caso proprio  una donna rappresenta la ragione di speranza del protagonista.  E qui mi fermo per non creare l’effetto “spoiler”.

  Dalla prefazione si evince che il libro è parzialmente autobiografico. Il fatto che la malattia sia appena accennata, corrisponde alla sua esigenza di ignorarla e superarla?

  Il libro non è una autobiografia e mi dispiace per coloro che immaginavano il mio come un romanzo rosa costruito su pettegolezzi. Oltre ad essere ingiusto e ingiustificato sarebbe stato una caduta di stile e in ogni caso qualcosa che non mi appartiene. Ovviamente questa precisazione non è rivolta a lei , persona colta e raffinata. Una malattia non può essere ignorata e lei lo sa bene. Superarla, una fortuna. Conviverci una necessità.

  Se ho ben capito, il suo disturbo risale a pochi anni orsono. Ci può accennare qualcosa su come sia insorto e quali problematiche abbia comportato?

  La malattia mi è stata diagnosticata nel 2008. Avevo difficoltà a muovere il mouse nella mia attività lavorativa. Sono laureato in Informatica ed esperto di business intelligence.
La conseguenza che maggiormente mi ha toccato è stata la successiva separazione.

  Aveva già in mente il nucleo di questo romanzo prima di ammalarsi o lo ha concepito successivamente?

  Il romanzo è stato scritto e pubblicato nell'anno in corso. Può darsi che inconsciamente fosse già in una fase embrionale, ma sinceramente penso che il tutto sia una conseguenza della malattia.

  Attraverso questo libro si propone di lanciare un messaggio?

  Certamente. Come il protagonista non si rassegna, né si dà per vinto e soprattutto non smette di sperare confidando nella ricerca scientifica affinché si trovi un rimedio definitivo ai mali dell’uomo, così pure si adopera per ricostruire un rapporto che sembra irrimediabilmente compromesso.
Dunque un messaggio di speranza, un invito a lottare, a coinvolgere e a farsi coinvolgere. Nel bivio tra la strada che porta alla disperazione e quella che porta alla speranza, scegliere quest’ultima.

  È al suo romanzo d’esordio. Ha altri progetti?

  Questo è il mio primo romanzo.
Si ho altri progetti. A lei li posso svelare, anche in virtù della sua simpatia.
Ho scritto un altro romanzo che è stato valutato positivamente dalla commissione esaminatrice della casa editrice e per la qual cosa sto valutando la proposta editoriale. In più molto probabilmente sarà pubblicato un lavoro relativo ad un mio studio sugli algoritmi complessi nell’ambito della Teoria dell’informazione con particolare attenzione alla costruzione di grafi di broadcast. Dunque qualcosa che riguarda la mia formazione scientifica.
Ho scritto, infine, soggetto e sceneggiatura per un cortometraggio, ma mi creda su questo al momento non posso dirle altro.

La ringrazio della sua disponibilità e le auguro tanta fortuna nella vita artistica e privata.

Grazie a lei dottoressa, è stato un piacere.

venerdì 7 ottobre 2016

DALLE INSONNIE AL SUICIDIO: MA AVREBBE VOLUTO FARLO PRIMA



                                                   
Salvatore Massimo Fazio,
filosofo, pedagogista, musicoterapeuta, pittore e scrittore catanese

DALLE INSONNIE AL SUICIDIO: 

MA AVREBBE VOLUTO FARLO PRIMA

 L'apologia dell’inutile e del nulla del filosofo catanese 

Salvatore Massimo Fazio




- Buonasera dottor Fazio. Siamo al lancio del suo nuovo libro, "REGRESSIONE SUICIDA", Bonfirraro editore: un titolo inquietante...
La copertina di "REGRESSIONE SUICIDA"

- Buona sera a lei; le spiace togliere il titolo accademico che come un cretino mi sono guadagnato all'università e che preferisco usare solo per ruoli burocratici!?

- Come vuole essere chiamato? La parola cretino non le sembra eccessiva?

- Mi chiami Massimo, come fanno tutti, o Salvo, come coloro che non mi conoscono. Per nulla, cretino è eccessivo, tutt’altro, è l'apprezzamento più alto per chi si piega alla sciocchezza dell'accademia.

- D'accordo. Ma il titolo del suo libro apre scenari che poco sembrano avere a che fare con la filosofia, o sbaglio?

- Probabilmente perché lei si è fermata alla filosofia accademica: da Talete a Gadamer. Non è detto che non vi siano nuovi pensatori o sviluppatori di tesi. Pensi a pensatori dello spessore di Diego Fusaro, Giuseppe Carbone o Davide Bianchetti. Filosofi puri. E comunque questa mia quarta opera è un trattato di filosofia sistemico, quasi mi vergogno ad averlo prodotto in 6 anni.

- “Regressione suicida” è il quarto libro dopo “I dialoghi di Liotrela. L’albero di Farafi o della sofferenza”, “Villa regnante” e “Insonnie. Filosofiche, poetiche, aforistiche”. Può delineare il percorso che il suo pensiero ha compiuto attraverso queste quattro opere?

È proprio da “L’albero di Farafi” che assieme ad un collega, Giovanni Sollima,
Da sinistra: il filosofo Salvatore Massimo Fazio
e lo psichiatra Giovanni Sollima
 ho voluto affrontare la tesi del dolore. Lavoravamo assieme in una struttura ad alta densità per disabili psichici, desideravamo onorare gli ospiti che vivevano il malessere amplificato dalla negazione della psichiatria svolta dai non addetti ai lavori. Da lì e dalla mia inclinazione al realismo, che in troppi dicono pessimismo (ma non mi sono mai lamentato) è partito tutto. Osservazioni su quella 'canagliata' che è il vivere, mi spingono a scrivere Villa Regnante, un'opera frivola rovesciata: tutto è nel dolore di chi pensa di comandare... Frattanto, di notte, a causa di una malattia che mi ha accompagnato per 11 anni, l’insonnia per l’appunto, scrivevo frammenti, tra malesseri e sofferenze, che conservavo. Anni dopo incontrai Manlio Sgalambro: li lesse e, dopo qualche tempo, mi invitò a pubblicare. Il filo conduttore è l'esistenzialismo che ti sopprime e tu, essere umano, devi accettare, subire e trovare conforto nell'illusione di 'eccipienti' che la mente si inventa - e ti smaschera - o che l'uomo si inventa: la prostituzione a basso prezzo, la droga (paradossalmente non il farmaco, che è ben controllato nei laboratori) a basso prezzo, il plagio che fa crollare persone fragili, e ti senti eroe, ma di cosa? È tutto sofferenza se non si impara ad accettarla, ma senza reagire. Se reagisci il dolore si amplifica, nasci e vivi da perdente!

- Quanto dice mi suggerisce una domanda forse un po' cattiva: non crede che se invece si avesse un tipo di vita spensierato, privo del dolore, delle rinunce eccetera, la concezione del filosofo cambierebbe o sarebbe opposta? In altre parole, un vero filosofo non dovrebbe evitare di farsi influenzare, nel pensiero, dalla propria vita? Prendiamo ad esempio Cioran, cui lei si è ispirato in passato: ha avuto una vita difficile e il suo pensiero ne è stato profondamente influenzato. Avrebbe dovuto distaccarsene.

- È nella spensieratezza che si erge la verità assoluta. La spensieratezza è nella top ten dell'inutile. Tutti si è inutili, poi ci sono gli inutili elevati all'ennesima potenza, lì apprendi la brutalità del vivere. Cioran, nel paradosso non ebbe vita difficile; vicino alla dittatura, quando finì, dovette scappare in Francia, dove divenne un vate. Forse l'unica difficoltà fu il suo soffrire di insonnia, mi creda non esiste stilnox (un farmaco contro l’insonnia – N.d.A.) che faccia riposare bene.

- Veniamo adesso al nuovo libro. “Insonnie” era poesie, prosa, aforismi. Quest'ultimo in che forma è presentato al lettore? Lei, se ho ben capito, lo avrebbe voluto scrivere prima di “Insonnie”: perché?

- Me ne sono accorto negli anni; frattanto che ultimavo Insonnie, che mi diede la notorietà, iniziavo a scrivere il prossimo, appunto Regressione suicida, che uscirà il 14 ottobre. Era una sorta di interpretazione e propedeuticità all'uscita di Insonnie, desideravo onorare Sgalambro, col quale i rapporti divennero stretti e collaborativi, e Cioran, che mi segnò. Oggi asserisco che avrei dovuto scriverlo prima; avrei così preparato il lettore ad un percorso regolare: prima gli ispiratori, poi la mia tesi e infine l'opera (Insonnie) e invece ho fatto tutto al contrario, ma non è stato negativo. Insonnie ebbe un impatto notevole (tradotto in Norvegia, dove il tasso di suicidi è il più alto d'Europa, e in Spagna, dove è il più basso) e sull'onda di Insonnie, ancora - in nona edizione per i tipi di Cuecm, ma coi diritti acquisiti da Bompiani – disponibile, era quasi un dovere far sapere al mio pubblico l’evoluzione del mio percorso. E, come sempre, ho fatto alla rovescia. Ecco che si determina la filosofia pura: il filosofo non è lo sciocco universitario che vive di citazioni e osa offendere il simile, magari il professore delle scuole medie superiori sicuramente è migliore, ma sempre pessimo rispetto al puro.

- Quindi questo libro parla del suo percorso a ritroso che porta al “suicidio” di ciò che lei era prima? Cioè: il filosofo polemico, dissacratore degli accademici e nemico delle università è morto e sepolto? Può spiegarsi meglio?

Polemico lo sono soltanto contro il baronaggio accademico. Cercherò  di essere onestissimo: nelle università insegnano persone che quando ti presenti, almeno ai miei tempi, con il libretto dove non è scritta una maturità liceale, ti rispondono male e si accaniscono. Questo potrebbe esser a dir loro pedagogico, perché rinforza; ma mi dica un po', una persona che viene da una famiglia medio umile e non ha chi gli apre la strada e magari ha fatto degli studi tecnici o professionali, perché deve subire tale umiliazione quando, andando all'etimologia di 'universitas', e ricorrendo alla legge che permette (permetteva?) a tutti di poter cambiare il proprio corso di studi, per qualsivoglia motivo, è patente, a questo punto solo sulla carta, la possibilità di evolversi?
Glielo dico io, I meschini che insegnano, devono preparare la strada ai figli dei figli dei figli et alii, al fine di aprirgli la porta della cattedra così da avere sempre più potere: il controllo. Poi leggi le cronache e tutto si chiarisce. Non ci dimentichiamo di docenti che promettono esami a studentesse, dietro servigi sessuali (io sono di Catania, credo che lei abbia seguito lo scandalo del docente di Scienze Politiche, incastrato dagli inviati di un noto programma televisivo). Ma non è solo questo....

- Non divaghi, Fazio. Ci parli di questo libro.

Quella del suicidio è la metafora spirituale che ho realizzato. Regredire ha, sovente, una accezione negativa, ma è anche tornare indietro, senza volontà, sino al momento della nascita, quando respiriamo l'aria di questa infernale bolgia; pertanto, si realizza questa retroazione nel momento in cui veniamo al mondo – nuovamente. Non stiamo nascendo, ma ci stiamo suicidando, anche se in verità l'esser-ci, alla maniera di Heidegger, essendo gettatezza nel mondo, è già di suo un atto di contaminazione e di induzione al suicidio. Ecco, la retroazione suicida è la consapevolezza che non stiamo vivendo, ma stiamo suicidandoci.
Più dettagliatamente è un assunto stupido: si viene al mondo e ci si inventa qualunque cosa, dalla disperazione del povero all'oltraggio del presuntuoso, legato a fogli di carta colorati: il denaro. E' tutto introiettato. L'unica cosa che ci rimane è assistere passivi e riflettere; si è puri, quando si ha il coraggio e la forza di essere sinceri (che coincide con quando ti diranno: pazzo, volgare, impreparato, stupido et similia). Subito giungono gli attacchi e subisci... però sei qui e non ti rimane che viverci, in questo posto orribile che è il mondo.

- Credevo si fosse separato dal pensiero del suo maestro Sgalambro, ma mi pare che qui lo ricalchi.

- Ecco, in Regressione suicida, il sottotitolo è "Dell'abbandono disperato di Emil Cioran e Manlio Sgalambro", io prendo le distanze da Sgalambro: è il filosofo più illuminante e non filosofo, è un teatrante da colpo di teatro, stranamente in alcune svisature ontologiche era anche facilmente condizionabile, e questo sottomettersi gli dava la spinta per reagire filosofando, un genio!

- Ha scritto il libro con l'obiettivo di separarsi ufficialmente dai suoi maestri? Quanto il libro esprime questa necessità e quanto invece riflette il suo percorso di vita?

- È il paradosso di Ricardo: non mi separo dalla loro tesi, ma mi separo dal rischio cui andò incontro Sgalambro, quando tetraplicò, ad esempio, la propria immagine, grazie alla collaborazione col cantante Franco Battiato: sicuramente fu proficua e prolifica, ma la cinicità intellettuale venne meno. Si perse un riferimento nel pensiero. Mi separo più dall’azione, il  coup de théâtre in Sgalambro, ha proliferato masse di ignoranti e di idolatri, se ne accorgeva e si divertiva. Da Cioran non preferisco stare alla larga, ma neppure idolatrarlo…. Conosco troppi imbecilli che si fanno forti a colpi di citazione dei due maestri miei, imbecilli che gironzolano nelle università come sviolinatori dei docenti che gli permettono di esaminare uno studente che magari è amico loro e il 30 e lode è garantito, se è uno che gli ha sottratto la fidanzata, allora è meglio che il tipo cambi università. Imbecilli che vantano un incontro con Sgalambro ad esempio e poi gli omaggiano un libro, che misantropicamente rimane a marcire nel cortile dei quartieri più bassi della loro vanità.  E’ questo il sistema che non mi garba. Poi il loro dottorato finisce e tu li incontri fuori e dovresti picchiarli a sfinimento. Ecco, la provocazione è facile, se fine a se stessa, devi smascherarti, devi lanciarti intellettualmente, anche se gli argomenti possono sembrare bassi, anche se hai il nemico di fronte a te. Sgalambro disse che "la mafia era l'unica forma di economia possibile", prima contestato da Sciascia e poi avallato dallo stesso, mi piaceva molto: diceva una condizione reale e veritiera. Dopo si è fermato, e questo stop lo si è evinto quando ha iniziato la collaborazione con il perbenista Battiato.
Cioran, invece è un santo. Nulla da dire, ma separarsi è indispensabile: non potrei superarlo, ho condiviso con lui solo una grave patologia… la perdita del sonno.

- Insomma, Fazio: ci eravamo illusi che in questo libro si cospargesse il capo di cenere e diventasse docile e mite; niente di tutto questo, mi pare. La sua vis polemica non muore mai, altro che suicidio…

 - Si sbaglia. Sgalambro dopo un’intervista e un articolo sul giornale LA SICILIA, mi disse che il giornalista (Luca Ciliberti n.d.a.) era bravissimo, che lo leggeva con interesse e che non aveva errato di una virgola, però si infastidì per una sola scritta: "Dissertazione col suo 'discepolo' Fazio"... In toni duri mi disse: "non esiste un maestro e un discepolo, solo uno dei due può esistere, l'altro muore". Da quel momento una isterica dalle sembianze spirituali ottenne la sua vittoria facendoci allontanare, io ho continuato ad esistere autonomamente, affermandomi senza necessità di rubare citazioni a destra e manca per costruire la mia tesi, l’isterica non si è calmata, ma le ho riservato il colpo a sorpresa, legga un po' chi cura prefazione, postfazione, nota e testimonianza del mio nuovo libro, persone che l’isterica pensava fossero vicine. Comunque, poi le cellule si riducono e non più producono e la carcassa che siamo muore: quello che fu definito il discepolo, io, rimane discepolo e non c'è più maestro.

- Ha intenzione, come è accaduto per Insonnie, di provocare sdegnati abbandoni delle sale in cui farà le presentazioni del nuovo libro?

Ma no... questo di cui parla accadde solo  a Ragusa (fui tacciato di nazismo), Avellino (usai un linguaggio volgare) e a Modena, dove augurai alla comunità di Vincenzo Muccioli di sfollarsi, sperando che gli ex tossicodipendenti che vi si recavano per guarire, scappassero dopo pochi giorni, per vivere la vita scelta, piena di sogni e viaggi della mente, grazie alla intromissione della droga.
Poi tra inviti, lectio, presentazioni, sempre e solo ottimi dibattiti... 
"Permette una parola"?
Spettacolo all'aperto svoltosi
a Catania, con la partecipazione di
Salvatore Massimo Fazio, estate 2016.
insomma, se riesce a trovarli, vada a vedere le immagini e i video girati nelle università (dove mi divertivo a insultare anche la poltrona dove sedevo), o librerie come la Mondadori di Catania, o la Feltrinelli a Trieste, stracolme entrambe...
Le regalo una chicca. C'è anche un aspetto profondamente intimo in Regressione Suicida: il tornare indietro al punto di nascita, che in parallelo prevede la giovinezza di una mamma, non anziana, ma stanchissima e non in ottima salute.
Il libro ha già circa 700 prenotazioni e sono già 11 gli incontri previsti; in Campania sarò il 27 ottobre a Torre del Greco, ospite dei tipi di UNIVERDE, e il 28 ottobre ad Avellino, presso la libreria “L’Angolo delle storie”; magari viene e si accomoda al tavolo dei relatori?

- Volentieri, sarà un piacere. La saluto e la ringrazio.

- Stia bene, o si lasci contagiare dalla realtà.


sabato 13 agosto 2016

Le foto di Radici Poetiche VI edizione 2016


Un video amatoriale che raccoglie le foto e i video della serata di premiazione del concorso Radici Poetiche VI edizione 2016, intitolato a Massimo Troisi, ideato e condotto da Donatella De Bartolomeis, fondatrice della casa editrice "Il Papavero", svoltosi nella suggestiva cornice del Castello di Summonte (AV) il 6 Agosto 2016



giovedì 11 agosto 2016

Dora Farina valletta d'eccezione a Radici Poetiche, roba da... matti!


Dora Farina, counselor, teologa, a breve anche psicologa, Avellinese, autrice del libro "La diversità che fa paura", sul tema del disagio psichico, in veste di valletta a "Radici Poetiche" VI edizione 2016.



mercoledì 10 agosto 2016

È la fatina di Peter Pan? No, è Deborah Graziano, la dolce ballerina di Radici Poetiche VI edizione 2016


Danzava già nel grembo materno Deborah Graziano, la ballerina avellinese formatasi con Artisti di fama mondiale. Talmente leggera che quando cammina... non lascia orme, pur avendo ballato anche ne "Lo Schiaccianoci" di Tchaikovsy.




Munch urla dai glutei dei modelli di Giulia Sfera, in "Radici Poetiche" VI edizione 2016


I quadri di artisti famosi dipinti sulla pelle nuda hanno colorato il castello di Summonte (AV) nella serata di premiazione del concorso di poesia dialettale "Radici Poetiche" VI edizione 2016, ideato e condotto da Donatella De Bartolomeis della Casa editrice "Il Papavero". Giulia Sfera, graphic designer Avellinese, ha realizzato un calendario su un progetto di body painting, che ha ricevuto riconoscimenti nell'ambito dell'Accademia Italiana di moda, Arte e Design di Firenze.






martedì 9 agosto 2016

La terra Sirena di Alessia Rocco non fa paura e vince il primo premio a "Radici Poetiche" VI edizione



Prima classificata al concorso di poesia dialettale "Radici Poetiche" VI edizione di 
Donatella De Bartolomeis, con la poesia "Io nun tengo paura" 
Alessia Rocco, napoletana, web writer, poetessa, scrittrice.


Migranti di ieri e di oggi con Luisa Mirabella in "Radici Poetiche" VI edizione


Luisa Mirabella in "V'Arricurdate" parla di migranti del passato e del presente e si classifica seconda al Premio di Poesia dialettale "Radici Poetiche" VI edizione, ideato e condotto da Donatella De Bartolomeis della casa editrice "Il Papavero"



lunedì 8 agosto 2016

I briganti di Maria Concetta Preta premiati a "Radici Poetiche" VI edizione

Premio del Comitato tecnico a Maria Concetta Preta, di Vibo Valentia, docente, scrittrice e poetessa, in gara con la poesia 'U cantu d'i briganti  "Quanto sangu passau?" a "Radici Poetiche" VI edizione 2016, Premio Poetico dialettale intitolato a Massimo Troisi, ideato da Donatella De Bartolomeis della casa Editrice "Il Papavero".



domenica 7 agosto 2016

Donatella De Bartolomeis ha messo Radici... Poetiche! VI edizione, 2016, castello di Summonte


Donatella De Bartolomeis, fondatrice della casa Editrice "Il Papavero", con sede a Manocalzati (AV), organizzatrice del Premio di Poesia Dialettale "Radici Poetiche", 
intitolato a Massimo Troisi, giunto alla VI edizione.



Giuseppe Carabetta regala la Costiera Amalfitana, in "Radici Poetiche" 2016





Giuseppe Carabetta , autore di una delle opere donate quale premio ai 
poeti vincitori del concorso "Radici Poetiche 2016, VI edizione, organizzato da 
Donatella De Bartolomeis della casa editrice "Il Papavero", 
svoltosi al Castello di Summonte (AV) il 6/08/2016

Paolo Landrelli, terzo posto ex aequo al concorso "Radici Poetiche", VI edizione 2016



Paolo Landrelli, poeta calabrese, intervistato nel castello di Summonte (AV) 
prima della serata di premiazione del concorso "Radici Poetiche" VI edizione 2016, 
intitolato a Massimo Troisi,
organizzato da Donatella De Bartolomeis della Casa Editrice "Il Papavero".
Insignito del terzo premio ex aequo.





venerdì 22 luglio 2016

Il Labirintum di Loris Elio Sardelli non si trova a Cnosso


Loris Elio Sardelli 
http://leggiecrea.it )
è un poeta contemporaneo decisamente originale.
 Si fa chiamare Loris Elio, o come?

Dovessi rispondere con la convenevolezza, risponderei che l’uno, Loris, è il nome che mi diede mio padre, l’altro, Elio, mia madre. A ben pensare, invece, i nomi che ci portiamo sono solo degli archetipi frutto degli schemi di cui necessitiamo per muoverci come esseri umani al pari di un codice fiscale. Per cui si per l’anagrafe mi chiamo Loris Elio, per il mio essere chiamatemi o non chiamatemi come vi suoni più congeniale.

Nato nel 1970, della sua biografia colpisce l’assoluta normalità; padre “severo, ma giusto” madre “amorevole”; normale scuola e lavoro con trasferimento. Nuoto e arti marziali e un rassicurante lavoro in banca. Questa “normalità” è colpevole o innocente?

Rifuggo da concetti di colpevolezza o innocenza, essendo derive culturali religiose, ma, piuttosto, ben affronto quelli di responsabilità o irresponsabilità. Premesso questo, la relatività dei “sunt mores” che ci porta, oggi, a ritenere normale un qualcosa, domani potrebbe dettarci il contrario. Non esiste, quindi, una determinatezza al di fuori del fatto che io sia ciò che in questo momento scelgo di essere; in tale momentum, il peso di ciò che fui e di ciò che sarò.

 L’altra parte della medaglia vede in Loris Elio un lettore accanito, un sognatore, un viaggiatore appassionato di poesia e a sua volta poeta: studia addirittura il sanscrito (forse per approfondire testi religiosi?) scrive in modo molto strano utilizzando parole spezzate e accentate apparentemente a casaccio e intersecate da congiunzioni, preposizioni...
Cosa vuole esprimere con questa frammentazione? Oppure vuole essere la creazione di una sorta di metrica? 

Abbiamo (s)perso di vista la lingua e la (s) è d’obbligo e di uso piacendo; nell’era, cosiddetta della comunicazione, non riusciamo a comunicare, banale scriverlo; meno banale risalire alle cause di ciò. Ritengo risiedere un motivo cardine, nell’uso improprio dei termini, poiché ne abbiamo, appunto, (s)perso la portata semantica; ognuno vi attribuisce un significato a seconda del bagaglio sperimentale che possiede; il che, di per se, non è un errore od un difetto, anzi è il basamento della nascita di una lingua ove più soggetti attribuiscono a quella determinata “parola”, sommatoria di lettere od anche singola lettera, un significato comune di modo da poter comunicare. 
Mi sono interrogato a lungo su come nasca una lingua e molto mi sono documentato; come, infatti, scrivere senza porsi principi di etimo e semiotica? Impossibile, almeno tanto quanto, scrivere senza possedere una fiamma geniale. Vada per la seconda proprietà che non spetta a me affermare di possederla, ma, almeno, il primo aspetto ho la doverosità di costruirmelo da me. Ebbene, da qui, lo studio del Sanscrito, quale una delle lingue madri, unito allo studio dei testi di Court del Gebelin, abate medievale, che, con forza, si spinse alla ricerca di risposte che divennero il fondamento delle moderne teorie linguistiche. Da qui quindi, la percezione che i termini oggi utilizzati non siano più attuali per rispecchiare la realtà vivenda. Da qui, ho intrapreso un percorso artistico “pericoloso” e di molto affascinante decidendo di battere nuove vie comunicative ove un verso possa essere tutto ed il contrario di tutto a seconda della lettura intima del lettore. Io voglio portare il lettore dentro un nuovo mondo linguistico che gli sia affine almeno tanto quanto appaia ostico al primo impatto. Un mondo fatto di quei fonemi naturali che ben suscitano le azioni e le reazioni dei nostri animi.

Quali sono le sue pubblicazioni? Può dirci qualche parola sulle sue opere? La prima opera, lei afferma, non ha soddisfatto le sue aspettative: come mai? Le altre, invece?

Una ulteriore anomalia del mio essere scrittore è quello di rifuggire, oramai, sia dai concorsi sia dalle pubblicazioni intese come, oggi, le intendiamo. Non amo, infatti, l’attuale sistema editoriale. Ho adoperato scelte passate dicendo di no a noti editori e case distributrici che i più mi darebbero del fuori di senno. Ebbene preferisco essere ritenuto tale, piuttosto che svendere la mia opera; come ebbi a dire ad uno di questi signori: “piuttosto la regalo”. La mia prima opera, Stacco da Terra, era opera adolescenziale senza quel necessario tecnicismo che deve, comunque, contraddistinguere un’opera, per questo, l’ho ripudiata. Le altre un evolvendo, considerando che, forse dobbiamo tutti capire che le sillogi sono il pane per gli editori poiché le poesie vivono a se stanti dentro la costellazione di un poeta. Vogliamo farne sistema, unendo più poesie e pubblicandole? Facciamolo, ma non è giocoforza, indispensabile. Una poesia è opera d’arte in se e per se, senza bisogno che sia all’interno di una raccolta e, quindi, pubblicazione. Una poesia è una stella che basti a se stessa.


 Lei fa una poesia raffinata e, credo, poco comprensibile ai più; non crede che la poesia debba raggiungere in maniera diretta il lettore, mirando “alla pancia”, senza intermediazioni e giri di parole?

La poesia non deve nulla; forse per questo è sempre stata l’arte sublime ed, oggi, è l’arte che maggiormente risente della crisi dei tempi che “pretendono” falsi do ut des.

 Lei pensa allo stesso modo in cui scrive?

Io penso e provo come tutti; tutti pensano e provano come scrivono che, in sintesi, è pur sempre un surrogato di ciò che siamo. Io vi porto là dentro, dove avete paura di andare, dove anche io ho paura di andare: dentro la sorgente delle nostre ombre.

Ha creato due progetti molto interessanti; uno è il forum “Crea” del suo sito Leggi e Crea, in cui artisti, poeti,  scrittori si confrontano, condividono e creano insieme: ha avuto successo? Ce lo vuole descrivere?

Leggiecrea è ciò che la stessa unione di due verbi di azione ed una congiunzione significano; in quella congiunzione risiede il nostro processo creativo, la più alta forma esistenziale che ci è data avere e che, spesso, auto soffochiamo. Leggiecrea lo vorrebbe destare ove dorma, proteggere ove sia in pericolo, alimentare ove sia da far crescere. Leggiecrea è mater in una parola sola. 

L’altro, Labirintum Into Se, è una sorta di labirinto poetico con delle tappe in cui i poeti leggono proprie e altrui poesie in una sorta di labirinto virtuale; ho capito bene? Sarebbe interessante che lo spiegasse ai lettori, chiarendo come è nata l’idea di questo esperimento.

#LabirintumIntoSe è ciò che scrive, ha capito benissimo, purché il labirinto non sia virtuale ma piuttosto reale; è, infatti, il labirinto del nostro processo creativo, del nostro essere ed esistere come manifestazione del nostro essere appunto. I poeti, poi, fanno ciò che fanno nella realtà: esaltano e mettono a nudo la stessa aiutandoci a perseguire una strada evolutiva od involutiva che sia. Che rispondere poi sulla nascita? Io non ho creato nulla: i labirinti sono vecchi quanto l’uomo e le stazioni poetiche sono una traslazione della via Crucis; ho solo unito questi due antesignani archetipi per il nostro Moderno Medio Evo nella volontà di fornire uno strumento, ricco di interazioni, che aiuti l’essere umano.

Vorrebbe condividere qui una sua poesia per lei particolarmente rappresentativa e, se vuole, commentarla?

Condividerei Chronos, il mio primo componimento nato post decisione di intraprendere il percorso artistico sopra descritto e, quale parafrasi, utilizzerei la descrizione propria del sito leggiecrea ove è posta

doie rimani
sente pre
pro gloriam
do me stesso
ri verbero ie io
volteggia mani
pre stigio vorresti
caro n te
traghetti innocenti
salteranno i listoni
svirgolano i bulloni
che si sentono inutili
al passar d anelito
di libertà

“CHRONOS è la mia prima figlia dello stile avanguardista e sperimentale che ho deciso di intraprendere, percorrere, scardinare; finanche a camminare su un dirupo in riva al mare, cosciènte de esistenza di un profondo abisso alle mie spalle, quale salace e tenace compagno di viaggio. La affido al tuo cuore, al tuo intelletto, alle tue memorie e fantasie, affinché tu la possa ri forgiare, plasmare, distruggere e ricomporre. É un gesto di estremo altruismo quello che vado a compiere, consapevole che le ali de arte non abbiano confini ed egocentrici retaggi. Abbine rispetto, e profondi la tua luce, tutto il tuo io, tutta la tua anima, fino alla dissolvenza eterea de eternità; allora si, saremo liberi.

loris elio sardelli”

Quali sono i suoi progetti futuri?

Diversi ma per, scriviamola, scaramanzia preferisco non anticipare nulla; anche io, da essere umano, ho i miei riti.

La ringrazio della sua gentilezza e le auguro il successo e il divertimento che merita!


sabato 18 giugno 2016

Sono Valeria Sirigu, la combattente!


 D.- Buonasera, dottoressa Sirigu; è stata molto gentile a prestarsi a questa intervista. Le voglio dire che lei mi ha colpito moltissimo, come è successo sicuramente a molte altre persone
Di lei mi ha colpito, più che la sua particolare situazione fisica, la capacità di risolvere i problemi e non lasciarsi abbattere dalle difficoltà.
Una prima domanda che le vorrei rivolgere, ovviamente, è relativa alla sua storia: la vorrebbe raccontare in breve?
R. Sono figlia di una madre nubile, e di questo ne vado fiera ed orgogliosa, mi ha cresciuto da sola! Non ha mai chiesto nemmeno un soldo a mio padre; ma non mi ha fatto mancare nulla, anzi… dalla mia vita ho avuto moltissimo per non dire troppo… Mi sento una donna molto fortunata, la mia disabilità è solo una parte di me.
La mia genitrice, per paura che avessi un quoziente intellettivo inferiore alla norma, fin da neonata mi ha talmente stimolato che dai primi test medici sono sempre risultata con un Q.I. superiore alla norma. Mi ha fatto provare ogni sorta di situazione e io amo proprio viaggiare grazie a lei. Viaggiare è una delle mie grandi passioni, oltre le lingue straniere, fare politica attiva, essere attivista per i diritti umani e civili, fare servizi fotografici, e stare sotto la pioggia e bagnarmi tutta e fare cose pericolose per sentire scariche adrenaliniche per poi rilassarmi.
Per mia fortuna mia madre non è mai stata iperprotettiva, mi ha lasciato sempre molto libera. Infatti a 19 anni, come molti giovani, me ne sono andata di casa per fare l’università. Ovviamente mia madre scendeva a Cagliari, ogni week-end, per vedere come stavo e se avevo bisogno di qualcosa.
Quando dico che mi occupo di diritto penale internazionale, di intelligence e tecniche militari, di criminologia particolarmente di parafilie (disturbi e devianze sessuali) e di economia e finanza internazionali; alcune persone rimangono di stucco sia perché credono che io abbia deficit intellettivi a causa della mia gravissima disabilità, sia per il motivo che sono una donna e in quanto “sesso debole” non mi possa occupare di questioni molto brutte e prettamente “maschili”. Molta gente presume che il mio comunicatore sia un gioco per imparare a scrivere e quando esprimono tale pensiero scoppio in una grossa risata in quanto fin dalla scuola materna ero, a detta delle insegnanti, più avanti degli altri alunni. 
Il fatto che io sia una giurista femminista atea disabile, spaventa molti, perché sono tutte qualità che normalmente una donna con disabilità non detiene; a volte mi tolgono consenso politico perché quello che sono mi fa uscire totalmente fuori dagli schemi, però io tiro dritto per la mia strada senza mai chinare la testa e sono abbastanza forte e spregiudicata per arrivare, passo dopo passo, dove spero io…!
In tutto questo mi dispiace che il mio caro nonno non ci sia, mi sarebbe tanto piaciuto averlo ancora accanto e sapere se fosse stato orgoglioso della sua prima nipotina.
Fino a qui vi ho raccontato i miei lati seri, però ho anch’io i miei lati frivoli… Pur essendo disabile mi sento molto DONNA e da tale amo acconciarmi! Mia madre da bambina mi ha abituato a vestirmi sempre da femminuccia ergo scarpettine, calzine velate, abitini eccetera. Quando sono entrata alla scuola media e superiore a mia madre le veniva da sorridere per il motivo che vedeva sempre tutte le mie compagne vestite tutte uguali con jeans e maglia larga tutti i giorni, io a scuola non andavo mai vestita sportiva, al massimo casual e mi piaceva andarci con un filo di trucco; sono e sarò una voce fuori dal coro! Anche ora mi piace un sacco truccarmi (odio uscire senza trucco), vestirmi in modo sexy ed elegante, adoro comprarmi abiti da cocktail e da sera con la coda oltre che cappellini.
Personalmente ritengo che i disabili “noti” debbano e hanno il dovere di lottare, per tutti gli altri, per sfatare miti e rimuovere le “barriere mentali” sulla disabilità.
Uso la mia immagine, di personaggio pubblico, in modo consapevole oltre che studiato per dimostrare che una donna può essere sexy pur essendo disabile.
Ogni tanto mi piace giocare, anche con gli sguardi, con gli uomini. Però se un uomo prova soltanto a sfiorarmi quando io non voglio reagisco all’istante! Se dovessi percepire il disagio o una richiesta d’aiuto di una donna di qualsiasi età, ceto sociale o nazionalità interverrei subito. Di fronte alla violenza sulle donne non bisogna mai girare la testa dall’altra parte, e se si ha paura per la propria incolumità… almeno che si chiamino le forze dell’ordine. Io denuncerei l’offender ai primi segnali di violenza che sia psicologica o fisica.  
Amo definirmi: “una donna dalle mille sfumature” perché mi sento una donna completa e ho mille aspetti… ma non sono, di certo, perfetta, però se sono così istruita, sicura, forte e coraggiosa lo devo solo a mia madre che io veramente amo più della mia stessa vita!

D.- Un’altra cosa che mi incuriosisce è la sua dichiarazione di ateismo; infatti sono convinta, come religiosa, che proprio la sua particolare situazione possa essere la lampante dimostrazione che noi non siamo un solo corpo, ma abbiamo un’anima che agisce a dispetto degli ostacoli imposti dalle difficoltà del corpo. Non è d’accordo con questa valutazione?
R.- Dipende da persona a persona. Io ho trovato la forza nell’ateismo più puro, infatti ho ottenuto la scomunica ufficiale (sono proprio fiera di questo) dalla Chiesa Cattolica a norma dei cc. 751 e 1364 del Codice di Diritto Canonico; altra gente prende tale forza dalla fede. Personalmente preferisco credere che io agisco in base alle mie convinzioni senza avere dogmi, Madre Natura ha dotato l’uomo della capacità di autodeterminazione e di discernimento, avrei fatto le stesse cose che faccio ora pur essendo “normale”, ergo alla Sua domanda mi sento di concordare con Lei.


D.- Nel suo sito, www.valeriasirigu.net, scrive che dopo la laurea in Giurisprudenza a indirizzo internazionale, vorrebbe lavorare come avvocato per il tribunale europeo dell’Aja, oppure all’ONU. Da cosa nasce questa aspirazione?  La sta portando avanti o ha deciso diversamente?
R.- La mia più grande ambizione rimarrà sempre quella, e nasce dall’età di 16 anni quando ho letto “Suad – Bruciata viva”: racconta la storia di una ragazza della Cisgiordania che si innamora, ha un solo rapporto sessuale e rimane incinta, la sua famiglia decide di bruciarla viva. Io essendo femminista da quando ero adolescente e per la libertà sessuale (espletata con vera coscienza dalle ragazze degli anni 60, non quella che credono di avere le adolescenti d’oggi), quindi ho deciso di dedicare tutta la mia vita a lottare contro la violenza sulle donne. Oggi faccio parte dell’Associazione Onda Rosa, il centro antiviolenza di Nuoro.

D.- Scrive per alcuni giornali online: quali argomenti tratta?
R.- Principalmente di diritto penale internazionale, di diritti umani, di intelligence, di violenza sulle donne, di criminologia; inoltre di economia e finanza.

D.-Viene da una piccola città della Sardegna, ma ha viaggiato molto e conosce diverse lingue. Dove le piacerebbe stabilire la sua residenza definitiva? Quanto offre la Sardegna nella tutela dei disabili?
R.- Non ho ancora deciso, ma mi piacerebbe molto negli Stati Uniti oppure in Spagna, o comunque dove troverò un lavoro, tutto il mondo è casa mia. Sa che Lei mi coglie in castagna per il motivo che io usufruisco solo della L. 162/98, è una legge che dà finanziamenti per pagare l’assistenza domiciliare o per progetti che stimolano la vita in autonomia o la cura dell’utente. Quando andavo a scuola ho sempre avuto sia l'assistenza per l’igiene personale che 18 ore di insegnante di sostegno. Una volta, quando avevo 8 anni, il comune ha provato a togliermi l’assistenza a scuola per tutte le ore stabilite e nel frattempo che le maestre e mia madre si chiedevano che protesta attuare, io ho scritto, di mio pugno, queste parole: "Assistente sociale di merda, i disabili servono, servono a fare lavorare le persone!", le ho stampate e le maestre le hanno portate in Comune, il giorno dopo avevo l'assistenza per tutte le ore se dovevo andare in bagno. Sono una combattente nata.
La mia città offre anche un servizio di trasporto disabili che attualmente io non utilizzo. 

D.-Ho letto che vive in totale autonomia rispetto alla sua famiglia di origine: com'è la sua giornata/tipo?
R.- Prima di tutto mi preme dire che ora vivo a casa di mammina perché mi fa tanto comodo, in attesa di comprarmi una casa tutta mia. Nonostante la mia grave disabilità mia madre (e io la adoro per questo) sembra una di quelle madri nordiche che vogliono l’indipendenza dei figli alla maggiore età. Anche io vorrei avere un’abitazione tutta mia, pur volendo un gran bene a mia madre, ma ormai siamo due donne adulte quindi con abitudini ed esigenze diverse benché abbiamo molti interessi in comune. Viviamo sotto lo stesso tetto però è come se vivessimo due vite separate in quanto siamo due donne super impegnate e, quando mi assiste, lei ora fa le veci di una normale assistente cioè non mette bocca nei fatti miei, anche perché sono abbastanza grande per avere una vita totalmente mia, ho solamente bisogno di un aiuto fisico; oltre a ciò, per mia sicurezza, voglio avere un punto di mia estrema fiducia, che può essere anche un’amicizia di vecchia data e molto forte, a poche ore di viaggio da dove abiterei io per qualsiasi evenienza. Quando devo partire senza mia madre, per esempio, mi organizzo in totale autonomia con le persone con cui devo partire. Mi sento fortunata anche perché giro per il mondo. Una mia giornata tipo non esiste per il motivo che i miei impegni variano di giorno in giorno. Mi posso alzare di notte come mi posso svegliare anche alle 12;00, ma di sicuro non vado a dormire prima delle 01:00. Come molti giovani ho orari sregolati. Vi posso dire che adoro fare gli happy hour, e andare in giro per locali fashion.
Un’altra cosa importante da dire è che voglio più di una persona che ruoti intorno a me, in quanto ho una vita “particolare” e reputo che per una persona sola sia troppo stancante seguirmi, anche se posso stare ore da sola. Dalle persone che mi assistono esigo solo un aiuto fisico, della mia vita decido solo io!

D.- Da donna, mi colpisce moltissimo anche il fatto che lei abbia anche in programma un figlio, nonostante le oggettive difficoltà della sua situazione; immagino che, da donna pratica e intelligente qual è, abbia già programmato tutto il necessario. Vorrebbe dirci come immagina la sua vita di madre?
R.- Eccola là, la domanda che mi spiazza! Quella di diventare madre per ora è solo un’idea molto vaga e alquanto egoistica, soltanto perché sento un forte istinto materno e vorrei trasmettere i miei geni ad un altro individuo, però lo crescerei con amore. Non sono in cerca di marito, la parola matrimonio mi spaventa moltissimo, mi basterebbe solo un compagno con cui fare una sola figlia femmina. Non sogno l’abito bianco…
In più di un’occasione a mia madre ho paventato il pensiero dell’inseminazione artificiale su di me oppure l’utero in affitto, pur non avendo un uomo accanto. Il brutto di una mia gravidanza è che gli ultimi mesi dovrei restare quasi totalmente allettata per evitare il rischio trombosi, il bello sarebbe sentire crescere una vita dentro di me. Se dovessi rimanere incinta e per qualsiasi motivazione abortire, lo farei anche se con la morte nel cuore. L’utero è delle donne e ognuna se lo gestisce come meglio crede! Non bisogna mai giudicare le scelte di ogni singola donna, ma soltanto rispettarle! Di sicuro prima di stabilirmi con la residenza in un luogo fisso per anni e non avendo una buona sicurezza economica, a fare una figlia non ci penso proprio. Poi c’è inoltre il problema dell’età; sinceramente penso che dopo una certa età i figli non andrebbero procreati per il motivo che più si è avanti con l’età e più alto è il rischio di mortalità, per me non è giusto lasciare un bimbo o adolescente senza genitori. Se dovessi diventare davvero madre sicuramente non rinuncerei al lavoro per nessuna ragione al mondo, però allo stesso tempo (come mi ha insegnato la mia) quando stessi con mia figlia le dedicherei del tempo di alta qualità. Mia madre è l’esempio lampante che una donna può essere lavoratrice e una buona madre allo stesso tempo, pur essendo sola ed in più avendo prole a dir poco problematica. Mi auguro di essere una buona madre come lo è stata la mia: dolce ma severa, divertente e complice, che riesca a trasmettere i miei valori. Anche se mia madre mi vede molto più rigida di lei con gli adolescenti e i bambini che incrocio. Se dovessi diventare madre lei ne sarà felice.

D.- Vorrei che concludesse con dei consigli a chi si trovasse ad affrontare situazioni analoghe alla sua; non solo consigli legati a un incoraggiamento, ma anche consigli pratici, per esempio a chi rivolgersi, come gestire la quotidianità e via dicendo.
R.- Niente è impossibile, se si sogna tutto è possibile però si deve avere il coraggio e la forza di lottare! Io ho sempre fatto cose che fanno le persone “normali”, ne ho fatto anche di più e da adolescente sono stata molto ribelle… Personalmente non ci siamo quasi mai rivolte ai servizi sociali, anche perché le assistenti sociali hanno più volte lodato la mia cara mamma per il suo essere madre.  A volte mi dice: “avrei voluto un po’ di riposo lasciandoti ai servizi sociali, ma non ti hanno voluta. Cosa ho fatto di male?” e io replico ridendo: “Tu sei stata una bravissima madre!”. Mia madre ha scelto le tate e poi io le mie assistenti in colloqui privati. Se mi ricordo bene, se si chiamano attraverso una cooperativa si devono pagare di più, in quanto bisogna dare una percentuale all’associazione. C’è da dire che io non ho bisogno di trattamenti infermieristici particolari e che la mia famiglia non è indigente (per mia fortuna) perché ogni mese per pagare l’assistenza spendiamo come minimo 1.100 € la paga va in base alle ore che fanno, a volte anche meno di tale cifra. Quando esco voglio sempre un’assistente oppure un amico, anche perché io non parlo, ma comunico con i comunicatori e qualcuno me li deve dare, oppure se mi serve qualcosa ho bisogno di una persona accanto. Invece a casa mia, una volta che sono sulla carrozzina, mi sono lavata e ho mangiato preferisco stare da sola, mi arrangio. L’abbiamo sistemata per avvantaggiare la mia autonomia. Non mi piace dire dove abito perché fidarsi è bene, non fidarsi è meglio; in più quando sono sola tengo la tv o radio a volume alto per dimostrare che in casa c’è qualcuno. Chi mi conosce bene sa che quando sono da sola e vuole venire a casa mi deve mandare prima un messaggio sull’iPhone, altrimenti non apro di certo. Se dovesse succedere qualsiasi cosa so benissimo come reagire e comunque se c’è un’urgenza mando un messaggio e qualcuno arriva. Inoltre da poco ho cambiato carrozzina e ho voluto una semi sportiva, anche se per sua natura è pericolosa in quanto si ribalta facilmente, però mi consente di andare più velocemente facendo il minimo sforzo, in più ho voluto anche il grip, un rivestimento in gomma che si mette sul corrimano delle ruote e che consente di spostare la carrozzina anche con i gomiti, avanbracci, oppure col palmo della mano senza aprirla o anche con un solo dito perché la gomma crea attrito e si ha un’ottima presa. Quando ho un impegno cerco di avvisare per tempo la persona che mi deve assistere, a volte capitano gli imprevisti e veramente si corre per arrivare il prima possibile. È molto stressante ma voglio dimostrare che la mia patologia non mi preclude di avere una vita stressante come qualunque altra donna in carriera. Per quanto riguarda i viaggi vi segnalo un’ottima associazione, “Strabordo” che organizza bellissimi viaggi per disabili e non. I viaggi per piacere o per lavoro me li organizzo anche da sola. Per lavoro vado anche in luoghi non proprio rilassanti, è una sfida soprattutto con me stessa, ma non mi spaventa. Ho scelto di fare un lavoro non proprio rilassante per una donna con disabilità. Un altro consiglio è: per ogni viaggio scegliere accompagnatori più consoni a quel tipo di soggiorno.                      

D.- La ringrazio infinitamente e le auguro di realizzare i suoi desideri.
R.- Grazie a lei; mi auguro che quest’intervista possa servire a molte persone anche non diversamente abili.



mercoledì 15 giugno 2016

La sfida di "Aliud" all'impoverimento culturale; Intervista a Giuseppa Sicura.

La dottoressa Giuseppa Sicura, della redazione di "Aliud"
Il numero zero del trimestrale di letteratura "Aliud"






Buongiorno Dottoressa Sicura

desideravo intervistarla in merito alla rivista trimestrale di poesia intitolata Aliud , nata molto recentemente, con collaboratori da tutta Italia, che prevalentemente si occupa di poesia, ideata da lei e dalla dottoressa Bianca Mannu, in merito alla quale desidero complimentarmi, essendo una rivista con articoli di qualità.

 D.- Come è nata l'idea di creare in Sardegna un trimestrale di poesia e cultura letteraria? Vi è venuto il pensiero che potesse confondersi tra le centinaia di riviste più o meno valide, spesso create per dare visibilità ed essere fonte di guadagno per case editrici poco serie?

R – L’idea della rivista è nata dall’esigenza di esprimere contenuti diversi dai soliti, che giornalmente invadono il Web e che costituiscono una costante comune alla maggior parte delle opere auto-pubblicate, dove largo spazio è dato a sentimenti e vicende di carattere troppo personale e intimistico. Partendo da tale esigenza, come titolo abbiamo infatti trovato perfetto, nella sua sinteticità, il termine latino ALIUD (altra cosa). L’umanità sta vivendo momenti molto difficili, a livello planetario, con fenomeni di gravità estrema, come la mancanza di lavoro, di cibo, le guerre, l’emigrazione di popoli, ecc., di cui abbiamo notizie dirette giornalmente e tutto ciò credo che non possa lasciare indifferenti nessuno e soprattutto i poeti e gli scrittori che, utilizzando uno strumento molto potente come la parola, dovrebbero, oggi più che mai, allargare lo sguardo oltre la sfera personale e farsi partecipi e testimoni del proprio tempo. Le linee programmatiche, delineate nei primi editoriali dei nostri “Fogli” si basano su questa sensibilità, che manca o viene trascurata dalla maggioranza degli autori, i quali tendono a privilegiare le inquietudini del proprio Io, spesso con esagerato lirismo, e si disinteressano totalmente di quelle che coinvolgono l’intera comunità umana. ALIUD tende invece a dare spazio a contenuti che privilegiano le manifestazioni e i problemi del Noi, senza comunque scartare del tutto le opere di carattere più personale, qualora non siano semplicemente uno sfogo terapeutico, ma sottendano un percorso di pensiero profondo e originale. Vengono selezionati attentamente i testi e per la scelta si tiene sempre conto sia del contenuto che della forma e del risultato artistico-letterario. A volte quest’ultimo può anche essere trascurato qualora il testo presenti una particolare originalità o interesse documentaristico; viene invece scartato ogni contenuto pregno di sproloqui ed esagerazioni, dettati semplicemente dalle esigenze egocentriche del proprio ombelico. In genere affianchiamo i versi o i brani di prosa con qualche commento, che certamente non pretende di essere verità assoluta, ma esprime solo un nostro punto di vista personale e il più possibile sincero, nel totale rispetto degli autori.
Abbiamo sicuramente considerato la scarsa presenza di riviste letterarie nella nostra regione e nelle nostre più immediate vicinanze. Qualcosa è stato già pubblicato nel passato e qualcosa in questo senso ogni tanto viene alla luce, ma sapevamo comunque che ALIUD, avrebbe avuto struttura e impostazione completamente diversa. Il confronto con altre riviste non ci preoccupa ed è lungi da noi l’interesse economico. Tutto nasce solo dalla passione per la scrittura e dalla volontà di dare visibilità a opere meritevoli, di contro all’andazzo delle varie case editrici che, pur di guadagnare, pubblicano anche l’insignificante, il nulla.



D.-  Come è strutturata la rivista? A quale pubblico si rivolge, quali temi predilige e perché?

R – La rivista è strutturata in due parti, nella prima trattiamo di poesia, nella seconda di prosa.    
All’interno di ognuna delle parti sono inserite varie rubriche, alcune fisse, altre variabili, a seconda del materiale disponibile per la pubblicazione. Vogliamo sentirci liberi, non ingabbiati in schemi troppo rigidi. Nella prima pagina, che fa anche da copertina, inseriamo un editoriale e la poesia di un autore della letteratura italiana o straniera del ‘Novecento, di cui in seconda e terza pagina si danno notizie sulla biografia e sulla poetica. Cerchiamo nelle altre pagine di dare spazio sia ai lavori degli autori facenti parte della redazione sia a quelli di poeti e scrittori di tutta Italia, esordienti o non, tenendo conto della compatibilità con le linee programmatiche esposte nel N.0 e N.1 e che in qualche modo ribadiremo anche negli altri numeri. Tendiamo comunque soprattutto a dare ai nostri lettori lavori di buon livello culturale, che si distacchino dalla tendenza comune e ci rivolgiamo ad un pubblico che sappia apprezzare non solo tutto ciò che riesce a far vibrare le corde del “cuore”, ma anche e soprattutto ciò che possa lasciare un segno, una traccia, in quanto capace di sommuovere, coinvolgere o sconvolgere  anche “il pensiero”, fonte e motore di ogni espressione emozionale; ci rivolgiamo ad un pubblico capace di guardare e osservare con una sensibilità nuova, aperta a grand’angolo perché, ricordiamoci, è attraverso i sensi che passa comunque la nostra conoscenza del mondo esterno, prima di raggiungere il pensiero e tramutarsi in emozione e poi in parola e pertanto questi (i sensi) dovrebbero essere sempre esercitati all’osservazione di tutto ciò che accade oltre noi e ci circonda o coinvolge e così facendo ci renderemo conto che al momento in cui rivolgeremo di nuovo lo sguardo per osservare ciò che ribolle dentro noi, ci si aprirà non un piccolo scrigno, ma un universo. Un universo che comunque soltanto un pensiero affinato saprà tradurre in parole, quel pensiero in quotidiano contatto con la lettura di opere che siano frutto di una profondità di riflessione e ricerca e abbiano un’indubbia valenza umana e letteraria.


D.- Come riuscite a sostenerne le spese?

R - Pur essendo ALIUD un piccolo opuscolo, le spese sono considerevoli, soprattutto per la stampa, ma finora siamo riusciti, con i contributi dei lettori, ad andare avanti, anche perché tutto il lavoro svolto dai membri della redazione e dai vari collaboratori è a titolo gratuito. Infatti la caratteristica di questi “Fogli trimestrali” è che nascono dalla passione per la scrittura, che anima tutti i componenti della redazione e che pertanto non mirano a ricavarne alcun guadagno, ma solo a dare visibilità alle opere meritevoli di considerazione.

D.- Avete ruoli diversi lei e la dottoressa Mannu? Quali sono gli altri collaboratori e con quali incarichi?

R – Abbiamo insieme la direzione e il potere decisionale. Io svolgo anche il compito di segretaria e mi occupo dell’impaginazione. I collaboratori fissi sono: l’Avv.Carlo Onnis, poeta e scrittore, Mariatina Biggio, poetessa, Florio Frau, ex insegnante, poeta e scrittore; hanno condiviso il progetto e oltre a metterci a disposizione i loro scritti, hanno contribuito economicamente alla nascita della rivista e svolgono potere consultivo. Dal prossimo numero si aggiungerà un nuova collaboratrice stabile, la Dott.essa, poeta e scrittrice, Katia Debora Melis, già presente nel N.1 e nel N. 2.

D.- Può descrivere la “giornata tipo” della redazione di Aliud e raccontare qualche aneddoto curioso, se ve ne fossero? Chi decide la linea di ogni numero?

R – Non c’è una giornata tipo, la nostra è una redazione “sui generis”. Ci riuniamo periodicamente, circa due o tre volte al mese, per discutere sul materiale da pubblicare. La linea del numero può essere suggerita da ognuno di noi, ma viene decisa concordemente, dopo qualche incontro. Progettiamo poi le singole pagine dividendoci i compiti sia per la scrittura dell’editoriale che per la scelta dell’autore della prima pagina e dei vari commenti. In genere io e Bianca ci occupiamo anche degli autori che pubblichiamo a tutta pagina, con scheda biografica e commento dei brani o delle poesie. Spesso con lei definiamo i particolari e le decisioni anche telefonicamente o via e-mail. Quando il progetto del nuovo numero è chiaro ed il materiale è già disponibile io preparo l’impaginazione a casa mia e al mio pc,  poi ci riuniamo di nuovo per approvarla e portarla in stampa. A volte può capitare che si facciano delle variazioni o che qualcuno ritarda nel consegnare il materiale. Uno dei collaboratori da rincorrere sempre è Carlo Onnis, raffinato e prolifico poeta, sempre impegnato in tante altre faccende ( prove teatrali - corsi- associazioni varie – facebook - ecc.); ma come fare a meno del suo spirito gioviale e delle sue pronte battute poetiche o parapoetiche?

D- Avete dato vita a questo giornale anche spinte da altre considerazioni non strettamente letterarie, per esempio la povertà del panorama culturale o il fatto che la cultura possa essere asservita ad interessi economici o di potere?

R -  Oggi più che mai è molto difficoltoso, per poeti e scrittori, riuscire ad attirare l’attenzione delle case editrici e l’unica chance è l’auto-pubblicazione, che oltre ad essere costosa, non garantisce la distribuzione nelle librerie, per cui le nostre opere sono destinate a viaggiare solo all’interno del parentado e della cerchia amicale. Le piccole case editrici, anche quando dicono di pubblicare non a pagamento(???) vogliono materiale non di valore, ma commerciale, facilmente vendibile per soddisfare le esigenze di lettori sempre più distratti e sbrigativi. Le grandi case editrici sono blindate, irraggiungibili, aperte solo ad una ristretta cerchia di autori, sempre gli stessi, fritti e rifritti in tutte le salse. Entrare in quel circolo è quello a cui  ogni autore comunque aspira, per avere la giusta visibilità, ma è un evento di carattere nepotistico o divinatorio. Bisogna trovare e propiziarsi il santo giusto. Purtroppo tutto ciò che è fonte di guadagno è sempre soggetto a ingerenze varie,  anche di carattere politico ed economico e a maggior ragione ciò vale per la cultura, attraverso la quale si possono anche veicolare pensieri e progetti di potere, si possono indirizzare e manovrare popoli interi. Ma per noi cultura è sinonimo di libertà e in blocco rifiutiamo tutto ciò che abbia anche solo l’odore dell’asservimento.
In quanto al panorama culturale, non c’è povertà, se ci riferiamo alla quantità, poiché con le auto-pubblicazioni prolificano i libri di prosa e di poesia; se ci riferiamo invece alla qualità,  sembra che tutti prediligano percorrere le medesime strade che non portano da nessuna parte se non verso una voragine abissale. Ed è questa considerazione una delle molle che ci ha spinto a creare ALIUD, come a voler arginare il fenomeno, impresa che, ne siamo pienamente consapevoli, potrebbe assumere connotati donchisciotteschi.

D. - Lei  è siciliana, si è trasferita in Sardegna diversi anni fa e ha pubblicato un libro di poesie nel quale parla della sua terra di origine: quindi non esiste solo il mal di Sardegna, ma anche il mal di Sicilia? Vorrebbe scrivere qui e commentare la poesia che predilige?

R – Si, sono un’emigrata degli anni settanta, venuta in Sardegna per insegnare e poi convolata a nozze con un cagliaritano. Pertanto la Sardegna è diventata per me una terra adottiva, alla quale non avrei potuto non affezionarmi, ma la nostalgia per la Sicilia e per il mio paese, con l’avanzare dell’età, si acutizza. Sono un’inguaribile nostalgica, ma oggi cerco di arginare questo sentimento o di gestirlo più pacatamente, allargando l’orizzonte degli interessi che includono altre urgenze e necessità. Una delle poesie che leggo sempre volentieri non fa parte del libro “Muri di pietra”, ma di una silloge ancora inedita di circa 40 poesie tutte in dialetto gallo-italico, una variante del siciliano che si parla ancora in pochi paesi, compreso il mio. Sono pochi versi, dove ho cercato di esprimere  ciò che provo quando ritorno lì. Tutto assume una dimensione diversa, sia fuori che dentro di me, e vivo una specie di piacevole stordimento che mi fa sentire libera da ogni preoccupazione contingente, tanto che potrei nutrirmi davvero solo d’aria. Penso però che questo tipo di sentimento possa essere riferibile a qualsiasi luogo e riguardare chiunque, per vari motivi, sia costretto ad allontanarsi per sempre o per lungo tempo dalla propria terra nativa. Si tratta di un’inquietudine generata dall’assenza e dalla percezione di un “altrove” perduto per sempre, ma che si vorrebbe recuperare. Un sentimento nostalgico che ha dato origine a fiumi di poesia, che viene appunto denominata genericamente come “poesia d’esilio”. Ad esprimerlo non basteranno mai del tutto le parole e solo chi ne ha esperienza diretta credo possa comprendere appieno questa forma di malessere generata nel distacco dalle proprie radici, con una lesione non cicatrizzabile, che inevitabilmente produce crisi e disorientamenti nella personalità.

OGNI  VȎTA

Ogni vôta ca tornu cca
nmenzu a ‘sti casi
cummigghiati ‘i suli
si sciugghiunu i fili
ca ntrizzunu u tempu
l’afa accupusa
si fa vitru trasparenti
e i ma pinsieri
nun pisunu chiù nenti
nun hannu patruni
sbattunu l’ali
e comu l’ucieddi
cercunu u cielu
e si mangiunu l’aria.

OGNI  VOLTA

Ogni volta che torno qui
tra queste case
incartate di sole
si sciolgono i fili
che intrecciano il tempo
l’afa soffocante
si fa vetro trasparente
e i miei pensieri
… leggeri
senza padroni
agitano in alto le ali
e come uccelli
cercano il cielo
e si nutrono d’aria.



D.- Aliud è ancora in evoluzione?

R – Certo, ALIUD è una creatura appena nata e come tale soggetta a mutazioni e consolidamenti.


D- Grazie della sua gentilezza e buon lavoro a lei e tutta la redazione.

R- Grazie a lei per la considerazione e l’attenzione.